ἀπόβαθρα, τά
Derivato nominale di ἀποβαίνω «andar via, uscire, discendere» (vd. Frisk, GEW, I, 209 e Beekes 2010, Ι, 192, ma cfr. anche DGE, s.v. a). Il suffisso -τήριο- in ἀποβατήριο- è tratto dal medesimo tema in -τήρ- con cui si formano anche altri derivati nominali di βαίνω, ad es. βατήρ, -ῆρος «soglia, punto di partenza» (vd. Chantraine, DELG, I, 156). Sia notato inoltre che il preverbio ἀπο- ha qui valore di allontanamento nel senso specifico di discesa da un’imbarcazione (cfr. LSJ, s.v. ἀποβαίνω).
I termini nautici linguisticamente connessi con a sono ➔ἀποβάθρα «scaletta, passerella per lo sbarco», ἀπόβαθρα «sacrifici per lo sbarco» e ➔ἀπόβασις «discesa, sbarco».
Semanticamente connessi con a sono i sostantivi ➔ἔκβασις «approdo» ed ➔ἐκβατηρία «punto di approdo», ma anche gli aggettivi ➔ἐκβάσιος -ον «che presiede agli sbarchi» ed ➔ἐκβατήριος -α -ον «dello sbarco, per lo sbarco».
Il termine è attestato in opere lessicografiche antiche solo alla forma neutra plurale sostantivata ἀποβατήρια: Poll. 2, 200 Bethe: βατὴρ ὁ οὐδὸς ἐφ’ οὗ βαίνομεν […]. καὶ διαβατήρια Ξενοφῶν (Hell. 3, 4, 3) ἱερά, καὶ ἀποβατήρια (sulla connessione linguistica tra il sostantivo βατήρ, qui citato da Polluce, e l’aggettivo a vd. ancora Chantraine, DELG, I, 156); Hsch. A 6250, s.v. ἀποβάθρα Cunningham: ἀποβατήρια, ἢ κλῖμαξ νεώς. Σοφοκλῆς Μυσοῖς (fr. 415 Radt); Steph. Byz. B 141, s.v. Βουθρωτός Billerbeck: νῆσος περὶ Κέρκυραν. ἔστι καὶ πόλις. ἐκλήθη δ’ οἱ μέν φασιν ἀπὸ τοῦ οἰκιστοῦ, οἱ δὲ μυθεύονται ὅτι Ἑλένῳ ἐκ Τροίης πλώοντι ἐς ἑσπέρην, θύσαντι ἀποβατήρια ἐν Ἠπείρῳ [τὸ θῦμα] ἡ βοῦς ἀποδρᾶσα ἐκ τοῦ βουπλῆγος ᾤχετο φεύγουσα διὰ τοῦ μεταξὺ πόντου ἐς τὸν κόλπον καὶ ἐς τὴν χέρσον ἐμβᾶσα (καὶ γὰρ τρῶμα ἐν τῇ δειρῇ εἶχεν) αὐτοῦ ἤριπε καὶ ἔθανε, καὶ κλεηδόνι ὁ Ἕλενος χρέεται, †ἵνα ἔθηκε Βουθρωτὸν οὔνομα, ὥς φησι Τεῦκρος ὁ Κυζικηνός (vd. FGrHist. 274 F 1a-b; cfr. anche Serv. Dan. in Verg. Aen. 3, 293, dove ci si riferisce ai riti sacrificali dello sbarco in questi termini: Helenus, filius Priami, cum Epirum sacrificaturus applicasset, bos vulneratus manus ministrantis evasit. et in eo loco ubi bos cecidit urbem ex responso constituit, quam a vulnere bovis Buthrotum appellavit); Phot., Lex. A 2448, s.v. ἀπόβαθρα Theodoridis: ἀποβατήρια, ἃ ἄν τις ἀποβαίνων εἰς τὴν ἀλλοδαπὴν δοίη, θεῷ θυσίας ἢ ἀνθρώποις δῶρα. πεποίηται δὲ παρὰ τὸ ἀποβαίνειν νεὼς ἢ ὀχήματος. λέγονται δὲ ἀποβάθραι καὶ αἱ κλίμακες, δι’ ὧν ἀπὸ τῆς νεὼς ἔξιμεν καὶ εἴσιμεν. Θουκυδίδης δὲ (4, 12, 1) καὶ οὐδετέρως ἀπόβαθρον λέγει; SGLG 10 A 818, s.v. ἀποβάθρα: ἀπὸ τῆς νεὼς κλίμαξ. καὶ οὐδετέρως καὶ ἀποβατήρια.
L’aggettivo a, inteso specificamente come attributo identificante il luogo in cui si effettua uno sbarco, e non come epiklesis di divinità (per cui, invece, cfr. infra, Trattazione), è impiegato da Giuseppe Flavio (AJ 1, 92) per tradurre il toponimo con cui veniva anticamente designato presso gli Armeni il punto sul monte Ararat dove, secondo il racconto biblico (Gen. 8, 4-20), era approdata l’arca di Noè alla fine del diluvio universale: μαθὼν τὴν γῆν ἀπηλλαγμένην τοῦ κατακλυσμοῦ μείνας ἄλλας ἑπτὰ ἡμέρας τά ζῷα τῆς λάρνακος ἐξαφίησιν αὐτός τε μετὰ τῆς γενεᾶς προελθὼν καὶ θύσας τῷ θεῷ συνευωχεῖτο τοῖς οἰκείοις. ἀποβατήριον μέντοι τὸν τόπον τοῦτον Ἀρμένιοι καλοῦσιν· ἐκεῖ γὰρ ἀνασωθείσης τῆς λάρνακος ἔτι νῦν αὐτῆς οἱ ἐπιχώριοι τὰ λείψανα ἐπιδεικνύουσι: «Compreso che la terra era libera dall’acqua, indugiò ancora altri sette giorni, poi liberò gli animali dall’arca; e anch’egli uscì con la sua famiglia. Offrì un sacrificio a Dio e fece festa con i suoi famigliari. Gli Armeni chiamano questo spazio “luogo dell’atterraggio”: qui i terrazzani mostrano ancora i resti dell’arca quivi salvatasi» (Moraldi 20183. Cfr. Pugliese Carratelli 1976, 513). È significativo che nel passo qui riportato il patriarca biblico compia un sacrificio a Dio proprio in corrispondenza del luogo dello sbarco. Per quanto concerne il rapporto tra il termine a e la sfera del culto pagano, invece, l’aggettivo è attestato come epiteto (epiklesis) di varie divinità del pantheon greco invocate per offrire protezione nel momento dello sbarco: in questo senso, a è associato ai nomi di Artemide, Asclepio, Apollo e Zeus, per cui cfr. infra, Trattazione.
a. La forma sostantivata del neutro plurale di a, ἀποβατήρια, designa i sacrifici offerti alle divinità al momento dello sbarco. Il termine ricorre esclusivamente in opere lessicografiche o enciclopediche (vd. supra, Attestazioni lessicografiche), eccezion fatta per un unico caso, di cui si darà conto qui sotto. D’altra parte, le numerose attestazioni nella letteratura greca di altri termini designanti pratiche rituali relative all’attività della navigazione e a specifici momenti di essa, quali l’imbarco o lo sbarco, documentano che questo ambito della religione antica aveva una grande importanza nella vita di chi frequentava il Mediterraneo e si confrontava con i pericoli che il mare poteva portare. Lo sottolinea ad es. Romero Recio 2010, 51 parlando della «influencia del mundo marino en la praxis religiosa de la Grecia antigua» (cfr. anche Romero Recio 2008 e Fenet 2016, in part. 1-13). Significative anche le parole di Kosmin 2013, 75: «Particular gods, and associated rites, were believed to reduce the notorious dangers of sea travel. Their propitiation in embateria and apobateria rituals is widely attested». A questo proposito, la celebre descrizione tucididea della partenza da Atene della spedizione contro Siracusa (Thuc. 6, 32, 1-2) fornisce una testimonianza importante per comprendere in che cosa consistessero, tra questi rituali, quelli dell’imbarco (embateria). Nel passo, infatti, si presentano nel dettaglio tutte le pratiche previste per l’ἀναγωγή delle navi (il silenzio, le preghiere del rito della partenza, le libagioni, il peana): Ἐπειδὴ δὲ αἱ νῆες πλήρεις ἦσαν καὶ ἐσέκειτο πάντα ἤδη ὅσα ἔχοντες ἔμελλον ἀνάξεσθαι, τῇ μὲν σάλπιγγι σιωπὴ ὑπεσημάνθη, εὐχὰς δὲ τὰς νομιζομένας πρὸ τῆς ἀναγωγῆς οὐ κατὰ ναῦν ἑκάστην, ξύμπαντες δὲ ὑπὸ κήρυκος ἐποιοῦντο, κρατῆράς τε κεράσαντες παρ’ ἅπαν τὸ στράτευμα καὶ ἐκπώμασι χρυσοῖς τε καὶ ἀργυροῖς οἵ τε ἐπιβάται καὶ οἱ ἄρχοντες σπένδοντες. ξυνεπηύχοντο δὲ καὶ ὁ ἄλλος ὅμιλος ὁ ἐκ τῆς γῆς τῶν τε πολιτῶν καὶ εἴ τις ἄλλος εὔνους παρῆν σφίσιν. παιανίσαντες δὲ καὶ τελεώσαντες τὰς σπονδὰς ἀνήγοντο, καὶ ἐπὶ κέρως τὸ πρῶτον ἐκπλεύσαντες ἅμιλλαν ἤδη μέχρι Αἰγίνης ἐποιοῦντο: «Quando le navi furono riempite, ed erano state imbarcate ormai tutte le cose con cui dovevano salpare, con la tromba fu comandato il silenzio, e gli uomini pronunciarono le preghiere, richieste dall’usanza prima di salpare, non nave per nave, ma tutti quanti insieme, seguendo un araldo; e si mescolava il vino nei crateri, distribuiti in tutta l’armata, e i rappresentanti dei soldati che erano a bordo e i comandanti facevano libagioni con coppe d’oro e d’argento. Si associava alla preghiera anche il resto della folla, sulla riva, sia i cittadini sia chiunque altro tra i presenti fosse ben disposto verso quelli che partivano. Cantato il peana e compiute le libagioni, salparono, e prima uscirono dal porto in fila, poi fecero una gara fino ad Egina» (Donini 1982). Una chiara descrizione dei rituali compiuti alla partenza per mare ci è offerta anche da Senofonte (Hell. 3, 4, 3-4), che con queste parole presenta l’inizio della navigazione di Agesilao verso l’Asia: ἐπεὶ δὲ θυσάμενος ὅσα ἔδει καὶ τἆλλα καὶ τὰ διαβατήρια ἐξῆλθε, ταῖς μὲν πόλεσι διαπέμψας ἀγγέλους προεῖπεν ὅσους τε δέοι ἑκασταχόθεν πέμπεσθαι καὶ ὅπου παρεῖναι, αὐτὸς δ’ ἐβουλήθη ἐλθὼν θῦσαι ἐν Αὐλίδι, ἔνθαπερ ὁ Ἀγαμέμνων ὅτ’ εἰς Τροίαν ἔπλει ἐθύετο: «Quando partì, dopo che ebbe compiuto i riti sacrificali, quanti previsti dalla norma, e anche gli altri riti e quelli per ottenere una felice traversata, mandò messaggeri per le città e annunciò sia il numero di uomini che dovevano muovere da ogni parte, sia il luogo che dovevano raggiungere; in lui, d’altra parte, nacque il desiderio di fermarsi in Aulide e compiervi sacrifici, là dove Agamennone aveva sacrificato mentre navigava alla volta di Troia» (trad. a cura di chi scrive, come sempre dove non altrimenti specificato). Si noti che in questo passo (così come anche in Hell. 4, 7, 2) le pratiche religiose per ottenere un attraversamento marittimo propizio sono indicate da Senofonte con il sostantivo διαβατήρια, che rimane linguisticamente connesso con ἀποβατήρια; lo stesso si trova già in Tucidide (5, 54, 2), ma anche in Plutarco (Vit. Luc., 24, 5-6). Ai riti specificamente previsti per lo sbarco, infine, ci si riferisce anche con il sostantivo ἀπόβαθρα, oltre che con διαβατήρια, in questo passo di Dione Cassio, dove si racconta dell’attraversamento dell’Eufrate da parte di Crasso (40, 18, 5): καὶ τὰ διαβατήρια τά τε ἀπόβαθρά σφισι δυσχερέστατα ἐγένετο: «anche i sacrifici per la partenza e il felice esito dell’impresa risultarono infausti» (Norcio 1995). Passando all’unica occorrenza di ἀποβατήρια in un’opera letteraria, in conclusione, constatiamo che il termine compare, superando di gran lunga i confini della storia antica, in un encomio anonimo (vd. Lauritzen 2013, 314-315) rivolto agli imperatori bizantini Manuele II e Giovanni VIII Paleologo (Panegyricus ad Manuelem et Joannem VIII Palaeologum), e risalente agli anni del loro regno congiunto (1416-1425), ove si legge così: τὸν βασίλειον ἀπολαβόντα θρόνον ἐκθειάζοντες προσεκύνουν ἅπαντες, τῇ μητρὶ τοῦ θεοῦ τὰ εἰσιτήριά τε τελοῦντες καὶ ἀποβατήρια: «Tutti quanti si prostravano davanti a colui che saliva al soglio reale, divinizzandolo, e si compivano riti inaugurali e riti dello sbarco alla Madre di Dio». È questo un caso evidente di rifunzionalizzazione semantica del lessico religioso originariamente pagano: in ambito cristiano, infatti, i rituali, cui ci si riferisce con la dittologia quasi sinonimica τὰ εἰσιτήρια e ἀποβατήρια, sono appunto rivolti τῇ μητρὶ τοῦ θεοῦ (cfr. ancora Lauritzen 2013, 314-315).
b. La più antica occorrenza di a come epiteto di divinità si conserva in un documento pubblico rinvenuto nel sito dell’antica Eritre (Ionia) e datato alla prima metà del II secolo a.C., dove l’aggettivo accompagna il nome di Artemide. Il documento in questione è un calendario sacrificale (Opferliste ovvero Opferkalender), in cui vengono indicati, giorno per giorno, il tipo e il prezzo degli animali offerti, a spese della comunità, alle divinità cittadine (cfr. Graf 1985, 162); tra queste compare anche Artemide a: πεντεκαιδεκάτηι· | Ἀρτέμιδι Ἀποβατηρίαι, τε- | λείου κδʹ: «giorno quindici: ad Artemide a, la spesa di ventiquattro [dracme] per un animale adulto» (I.Erythrai 207, 16-18; cfr. Wilamowitz 1909, 48-56, n. 12, 16-18; Sokolowski 1955, 74-75, n. 26 A, 16-18; sul contenuto di questo calendario sacrificale, cfr. Varinlioğlu 1980, 149; sul riferimento ad Artemide a cfr. Pugliese Carratelli 1976, 515 e Fenet 2016, 210). Nel presente contesto l’epiklesis può significare genericamente «patrona di un buon viaggio per mare, dalla partenza fino all’approdo» (così interpreta Sokolowski 1955, 79, per cui cfr. anche Pugliese Carratelli 1976, 514-515), ovvero, più specificamente, «protettrice di chi sbarca» (così Fenet 2016, 215-216). L’iscrizione di Eritre è l’unico documento in cui ad Artemide viene associato l’epiteto a (cfr. Graf 1985, 190-191), ma non l’unico in cui si leghi il culto della dea con l’eventualità di uno sbarco felice. Esichio, infatti, testimonia la pratica del culto di Artemide Ἐκβατηρία («che presiede allo sbarco»), a Sifno (Hsch. E 1288, s.v. Ἐκβατηρία Cunningham): Ἄρτεμις ἐν Σίφνῳ (si noti che a Bisanzio, invece, è attestato il culto di Atena Ἐκβάσιος, con lo stesso significato di Ἐκβατηρία, da Dionigi di Bisanzio, per cui cfr. GGM II, 21: ὑπὲρ αὐτὴν Ἐκβασίου βωμὸς Ἀθηνᾶς: «sopra di esso [scil. il promontorio del Bosforo] si trova un altare di Atena protettrice degli sbarchi»). D’altra parte, l’esistenza di un ‘culto marino’ (per usare un’espressione di Fenet 2016, culte marin) di Artemide, cioè di un legame cultuale della dea con il mare (vd. Fenet 2016, 7), è largamente documentata anche in fonti letterarie: Hymn. Hom. ad Dianam 6-9: τρομέει δὲ κάρηνα / ὑψηλῶν ὀρέων, ἰαχεῖ δ’ ἔπι δάσκιος ὕλη / δεινὸν ὑπὸ κλαγγῆς θηρῶν, φρίσσει δέ τε γαῖα / πόντος τ’ ἰχθυόεις· ἡ δ’ ἄλκιμον ἦτορ ἔχουσα / πάντῃ ἐπιστρέφεται θηρῶν ὀλέκουσα γενέθλην: «tremano le vette / dei monti sublimi, dalla foresta piena d’ombra si leva / un’eco immensa, all’urlo delle fiere; freme la terra / e il mare pescoso, ma ella, con intrepido cuore, / si volge da ogni parte, sterminando la stirpe delle fiere» (Càssola 1975); Call., Hymn. 3, 36-39: πολλὰς δὲ ξυνῇ πόλιας διαμετρήσασθαι / μεσσόγεως νήσους τε· καὶ ἐν πάσῃσιν ἔσονται / Ἀρτέμιδος βωμοί τε καὶ ἄλσεα. καὶ μὲν ἀγυιαῖς / ἔσσῃ καὶ λιμένεσσιν ἐπίσκοπος: «many cities will I give thee to share with others, both inland cities and islands; and in them all shall be altars and groves of Artemis. And thou shalt be Watcher over Streets and Harbours» (Mair 1960) e Hymn. 3, 225-227: πότνια πουλυμέλαθρε, πολύπτολι, χαῖρε, Χιτώνη / Μιλήτῳ ἐπίδημε· σὲ γὰρ ποιήσατο Νηλεύς / ἡγεμόνην, ὅτε νηυσὶν ἀνήγετο Κεκροπίηθεν: «Lady of many shrines, of many cities, hail! Goddess of the Tunic, sojourner in Miletus; for thee did Neleus make his Guide, when he put off with his ships from the land of Cecrops» (Mair 1960); Arr., Anab. 7, 20, 3-4: Δύο δὲ νῆσοι κατὰ τὸ στόμα τοῦ Εὐφράτου πελάγιαι ἐξηγγέλλοντο αὐτῷ, ἡ μὲν πρώτη οὐ πρόσω τῶν ἐκβολῶν τοῦ Εὐφράτου, ἐς ἑκατὸν καὶ εἴκοσι σταδίους ἀπέχουσα ἀπὸ τοῦ αἰγιαλοῦ τε καὶ τοῦ στόματος τοῦ ποταμοῦ, μικροτέρα αὕτη καὶ δασεῖα ὕλῃ παντοίᾳ· εἶναι δὲ ἐν αὐτῇ καὶ ἱερὸν Ἀρτέμιδος καὶ τοὺς οἰκήτορας αὐτῆς ἀμφὶ τὸ ἱερὸν τὴν δίαιταν ποιεῖσθαι· νέμεσθαί τε αὐτὴν αἰξί τε ἀγρίαις καὶ ἐλάφοις, καὶ ταύτας ἀνεῖσθαι ἀφέτους τῇ Ἀρτέμιδι, οὐδὲ εἶναι θέμις θήραν ποιεῖσθαι ἀπ’ αὐτῶν, ὅτι μὴ θῦσαί τινα τῇ θεῷ ἐθέλοντα ἐπὶ τῷδε θηρᾶν μόνον: «Gli [ad Alessandro] erano poi state segnalate due isole nel mare antistante alle bocche dell’Eufrate. La prima, non lontano dalle foci dell’Eufrate, distava centoventi stadi dalla costa e dalla bocca del fiume; questa era la più piccola, fitta di alberi di ogni specie; in essa si trovava anche un tempio di Artemide, attorno al quale trascorrevano la vita gli abitanti dell’isola. Nell’isola pascolavano capre selvatiche e cervi, liberi e consacrati ad Artemide; e non era permesso dare loro la caccia, se non per chi, volendo fare un sacrificio alla dea, solo per questo li cacciasse» (Sisti 20043). Su questo punto vd. Fenet 2016, 189: «La mer se définit souvent pour les Anciens comme un espace autre, dans lequel l’homme se sent toujours étranger: elle ne lui est pas naturelle. Elle incarne ainsi un monde extérieur, différent, dont il faut fixer les limites. […] Artémis personnifie la frontière entre ces deux univers».
c. Il termine a è attestato anche come epiklesis di Asclepio in una dedica inscritta su un’ara cilindrica, decorata con festoni e bucrani, che è stata rinvenuta nel sito di Iasos in Caria, all’esterno della porta orientale della cinta muraria dell’isola antica, e datata alla metà del II secolo a.C. L’iscrizione riporta queste parole: Μένης Τυρταίου | Ἰασεὺς τῶν Ἀσκλη- | πιαδῶν Ἀσκληπιῶι | Ἀποβατηρίωι τῶι ἀρ- | χηγέτηι τοῦ γένους «Menes figlio di Tirteo, della città di Iaso, degli Asclepiadi, ad Asclepio protettore di chi sbarca, archegete della stirpe» (Iasos 227; cfr. Levi-Pugliese Carratelli 1963, 587, n. 16; Pugliese Carratelli 1976, 516-518; Robert 1963, 314). Secondo Levi-Pugliese Carratelli 1963, 587 l’epiteto di Asclepio in questo contesto si riferisce a uno sbarco ben particolare, ricollegandosi verosimilmente al racconto mitico dell’approdo in Caria di Podalirio, l’eroe figlio di Asclepio che fu medico e combattente a Ilio, al pari del fratello Macaone, altro celebre figlio del dio e medico egli stesso (cfr. Il. 2, 729-732). Secondo il mito, Podalirio, alla fine della guerra di Troia, si stabilì proprio in Caria (cfr. Apollod. Epit., 6, 18; Paus. 3, 26, 10), e lì fu capostipite del genos degli Asclepiadi (cfr. Theopomp., FGrHist 115, F 103, 14; Steph. Byz. S 328, s.v. Σύρνος Billerbeck; cfr. inoltre quanto osservato da G. Türk in Roscher, Lex. III, s.v. Podaleirios, e da Eldestein 1945, 19). Il collegamento fra l’invocazione di Asclepio come protettore di chi sbarca nella dedica sull’altare di Iasos e lo sbarco mitico di Podalirio in questa regione viene sostenuto inoltre da Pugliese Carratelli 1976, 517. Diversamente, tuttavia, in Robert 1963, 315-316 si suggerisce che l’epiklesis di Asclepio in questa dedica comporti che nella memoria mitica il dio stesso sia personalmente approdato a Iasos, e con questo presupposto l’impiego di a viene riconnesso con l’introduzione in Caria (in tal senso, l’approdo) del culto del dio Asclepio, originario dei centri di Epidauro, dapprima, e di Coo, poi (cfr. Càssola 1975, 343). Su questa stessa linea interpretativa, Berti 2005, 16-17 ha messo in relazione l’attestazione del culto di Asclepio in questa iscrizione, insieme a una seconda dedica ad Asclepio rinvenuta in situ (I.Iasos 226, per cui cfr. Pugliese Carratelli 1969, 473, n. 39), con il lungo e articolato processo di aggregazione di espressioni cultuali che caratterizzò, dall’età arcaica e sino all’età imperiale, tutto il quartiere del porto orientale di Iasos.
d. Una dedica di età neroniana rinvenuta all’interno del santuario di Apollo a Cirene documenta l’attribuzione dell’epiteto a anche al dio Apollo. Nell’iscrizione il dio viene invocato da parte di Marco Antonio Gemello, sacerdote di Apollo a Cirene tra il 56 e il 57 (cfr. Bradley 1975, 305 e n. 3; il nome di Gemello compare anche in un’altra iscrizione rinvenuta a Cirene, che elenca i sacerdoti, probabilmente sacerdoti eponimi, del dio in città: Oliverio-Pugliese Carratelli-Morelli 1963, 223, n. 3), per assicurare vittoria e salvezza all’imperatore. Si leggono queste parole: ὑπὲρ τῆς [Νέρων]ος Κλαυδίου | Καίσαρος νίκης καὶ σωτηρίας | καὶ τοῦ οἴκου αὐτοῦ παντὸς | Ἀπόλλωνι Ἀποβατηρίῳ | Μ. Ἀντώνιος Γέμελλος ἐκ τῶν τοῦ | [Ἀ]πόλλωνος: «per la vittoria e la salvezza di Nerone Claudio Imperatore e di tutta la sua famiglia, ad Apollo protettore di chi sbarca, Marco Antonio Gemello dal tempio di Apollo» (I.British Mus. IV 2 1056; cfr. Smith-Porcher 1864, 113, n. 12; IGR I 1034; SEG 42-1668; SEG 27-1197). Dato che Nerone non si recò mai in Cirenaica (cfr. Pugliese Carratelli 1976, 515; Parisi Presicce 1992, 150), lo sbarco cui si riferisce l’epiklesis di Apollo in questa dedica non può essere nello specifico quello dell’imperatore in Africa. È pur vero, ad ogni modo, che il nome di Nerone è onorato anche in altre tre dediche rinvenute in situ: una (Smith-Porcher 1864, 113, n. 13; cfr. CIG III, 5138; IGR I 1035; SEG 27-1196bis), identica nei contenuti alla prima esaminata (salvo per l’impiego dell’epiteto Μυρτῷος, in luogo di a, per invocare Apollo), è stata messa in relazione con un edificio del Santuario identificato come il Recinto del Mirto, costruito per celebrare la memoria della ierogamia di Apollo e Cirene (cfr. Parisi Presicce 1992, 150 n. 18); un’altra dedica (Oliverio 1927, 330; cfr. iSEG 9-75), al dio Asclepio (o Iatros) e alla dea Iaso, fu posta, ancora per la salvezza di Nerone e della sua casa, da parte dei sacerdoti di Apollo (cfr. Pugliese Carratelli 1976, 515); una terza dedica (Oliverio 1928-1929, 139, n. 12; cfr. iSEG 9-99), ad Apollo Fondatore (Κτίστης), fu posta in onore dell’imperatore da parte delle sacerdotesse di una fontana collocata presso la fonte Kyra (Stucchi 1975, 587; cfr. anche Pugliese Carratelli 1976, 515, dove si suggerisce che le dedicanti siano sacerdotesse delle Ninfe). Secondo Robert 1963, 314 n. 4, mentre lo stretto legame tra Nerone e Apollo a Cirene è dovuto alla consueta identificazione dell’augusto con il dio citaredo, la dedica per la vittoria e la salvezza di Nerone rivolta precisamente ad Apollo a, protettore di chi sbarca, può essere messa in relazione con l’approdo dell’imperatore in Grecia nel 67: nell’iscrizione, detto altrimenti, i dedicanti renderebbero grazie al dio del buon esito del viaggio per mare compiuto dall’imperatore per raggiungere la Grecia. Già in Smith-Porcher 1864, 113 si sottolinea che al tempo della dedica «the emperor was then engaged in some journey». Ugualmente, Pugliese Carratelli 1976, 514-515 commenta che l’impiego di a riferito ad Apollo in questo contesto non sembra convenzionale, bensì ‘occasionale’, e cioè può essere inerente alla commemorazione di uno sbarco specifico, quello appunto di Nerone in Grecia. Su questa linea, egli ricollega il caso di Cirene con la dedica del tempio di Corinto ad Apollo Ἐπιβατήριος, «protettore del ritorno», in occasione di una circostanza ben definita. Di quel tempio, in effetti, Pausania ci parla in questi termini (2, 32, 2): Διομήδους ἀνάθημα ἐκφυγόντος τὸν χειμῶνα ὃς τοῖς Ἕλλησιν ἐπεγένετο ἀπὸ Ἰλίου κομιζομένοις: «commemorava lo scampo di Diomede dalla tempesta che si era abbattuta sui Greci mentre facevano ritorno da Troia». Bradley 1975, 306 e n. 6, inoltre, sottolinea che Dione Cassio, descrivendo il viaggio di ritorno di Nerone dalla Grecia nell’inverno del 67, e menzionando l’approdo sicuro dell’imperatore dopo aver rischiato un naufragio (63, 19, 2), «notes a circumstance which does provide a reason for an offering to Apollo of Safe Landing». Una spiegazione opposta della questione, tuttavia, viene fornita da Vitali 1932, 125-129, seguita recentemente da Fenet 2016, 165, la quale riconduce l’impiego dell’epiteto a nella dedica di Cirene non tanto ad un’occasione precisa, quanto piuttosto all’associazione tradizionale di Apollo con il mare (in altre parole, al ‘culto marino’ del dio, per cui cfr. supra), insita nella memoria della città fin dalla sua fondazione; a questo proposito, la studiosa ha richiamato inoltre il nome Apollonia, dato al porto dove approdarono i coloni di Thera nel VII secolo a.C., fondatori di Cirene (cfr. Strab. 17, 3, 22). Ancora diversa, ma di fatto insostenibile, si presenta l’interpretazione proposta da Parisi Presicce 1992, 150 e n. 180, il quale riformula, in chiave semplicistica, la posizione vista sopra di Smith-Porcher, Robert e Pugliese Carratelli: dal momento che nessun adulatore di Nerone avrebbe potuto trarre vantaggio da un’iscrizione posta lontano da Roma, suggerisce Parisi Presicce, l’invocazione del dio come a, protettore dello sbarco, può intendersi riferita al viaggio che da Cirene verso Roma compì non Nerone, bensì il governatore cittadino, Pedio Bleso, in occasione della sua espulsione dal Senato con l’accusa di aver sottratto il tesoro del tempio di Asclepio, secondo quanto riportato da Tacito (Ann. 14, 18); questo e gli altri casi di iscrizioni cirenaiche in cui si nomina Nerone, conclude, troverebbero una spiegazione plausibile («non essendo documentato […] un viaggio dell’imperatore a Cirene») se si ipotizzasse «un intervento del governo centrale come conseguenza del grave episodio ricordato da Tacito». Quanto al legame cultuale tra Apollo e il mare, per concludere, bisogna richiamare anche Ap. Rhod., Argon. 1, 966, dove si fa menzione di un altare fondato a Cizico in onore di Apollo protettore degli sbarchi, questa volta però identificato con l’epiteto Ἐκβάσιος, che per significato equivale comunque ad a. In particolare, si legge così: ἔνθ’ οἵγ’ Ἐκβασίῳ βωμὸν θέσαν Ἀπόλλωνι: «lì essi [scil. gli Argonauti] innalzarono un altare ad Apollo protettore dello sbarco». Lo scolio relativo al passo, tuttavia, riporta versioni alternative a quella di Apollonio circa l’epiteto assunto da Apollo in questo specifico contesto cultuale (schol. Ap. Rhod., Argon. 1, 966, 84.19-21 Wendel): Δηίοχος (FGrHist 471 F 5) δὲ τὸ ἱερὸν οὐκ Ἐκβασίου Ἀπόλλωνός φησιν εἶναι, ἀλλ’ Ἰασονίου Ἀπόλλωνος, Σωκράτης δὲ ἐν Ἐπικλήσεσι (FHG IV 499) Κυζικηνοῦ Ἀπόλλωνος: «Deioco, invece, dice che il tempio è non di Apollo Ecbasio, bensì di Apollo Giasonio, mentre Socrate nelle Epicleseis dice che è di Apollo Ciziceno».
e. Più diffusa è l’attestazione di a come epiklesis di Zeus (cfr. Stengel, s.v. Ἀποβατήρια, RE I.2, col. 2814). In Arr., Anab. 1, 11, 7, che offre anche l’unica testimonianza letteraria (non epigrafica) dell’aggettivo come epiteto di divinità, leggiamo che Alessandro, al passaggio dall’Europa in Asia attraverso l’Ellesponto, innalzò altari a Zeus protettore dello sbarco: λέγουσι δὲ καὶ πρῶτον ἐκ τῆς νεὼς σὺν τοῖς ὅπλοις ἐκβῆναι αὐτὸν ἐς τὴν γῆν τὴν Ἀσίαν καὶ βωμοὺς ἱδρύσασθαι ὅθεν τε ἐστάλη ἐκ τῆς Εὐρώπης καὶ ὅπου ἐξέβη τῆς Ἀσίας Διὸς ἀποβατηρίου καὶ Ἀθηνᾶς καὶ Ἡρακλέους: «Dicono anche che egli fu il primo a balzare completamente armato in terra d’Asia e che sia nel punto dove era partito dall’Europa, sia dove era approdato in Asia innalzò altari a Zeus protettore dello sbarco, ad Atena e a Eracle» (Sisti 20043). Sisti 20043, 344 nota che l’impiego di a come epiklesis di Zeus nel presente passo risulta in stretta relazione con le necessità del momento e del contesto (cfr. anche Jessen, s.v. Ἀποβατήριος, Ἀποβατηρία, RE I.2, col. 2814). D’altra parte, come messo in evidenza da Pugliese Carratelli 1976, 514, attraverso questo passo si comprende bene che il culto di Zeus a, insieme a quelli, non meglio specificati, di Atena ed Eracle, veniva praticato non solo sulla sponda dello sbarco, bensì anche sulla sponda della partenza, e che dunque l’epiklesis implicava la protezione divina dall’inizio alla fine del viaggio marittimo, non solo allo sbarco. Una serie di testimonianze epigrafiche quasi contemporanee all’attività storiografica di Arriano documenta la diffusione del culto di Zeus a in Grecia e Asia Minore. In un’iscrizione rinvenuta ad Olimpia e datata al primo quarto del II secolo, il κοινόν degli Achei prescrive il compimento di un sacrificio in onore di Zeus a, con queste parole: καὶ θύειν Διὶ Ἀποβατη̣[ρίῳ «e sacrificare a Zeus protettore di chi sbarca» (I.Olympia 57, 35). E. Fehrle, in Roscher, Lex. VI, s.v. Zeus (Beinamen) ἀποβατήριος (ma vd. anche Pugliese Carratelli 1976, 514), riferendo questo documento pubblico all’arrivo di Adriano in Grecia nel 126, interpreta il sacrificio a Zeus a come un rituale in onore dello sbarco in Elide dell’imperatore, e così si commenta anche in Robert 1963, 315 (cfr. inoltre SEG 11-1198; Fenet 2016, 96 n. 47). L’epiteto a compare anche in una lista di epikleseis di Zeus rinvenuta a Mileto e datata ancora al II secolo, che aveva probabilmente uno scopo didattico, piuttosto che strettamente cultuale: Ἀ․[— — —] | Ἀρω̣[γός?] | Ἀγ․[— — —] | Ἀνώλε̣[θρος] | Ἀγοραῖος | Αἰγίοχο[ς] | Ἄφθιτος | Ἀποβατή[ριος] «(?), [Zeus] soccorritore (?), (?), [Zeus] indistruttibile, [Zeus] dell’Agorà, [Zeus] dotato di egida, [Zeus] immortale, [Zeus] protettore di chi sbarca» (Milet VI 3 1395; cfr. Herrmann 1994-1995, 119; SEG 45-1612). Il culto di Zeus a è infine documentato a Methana, presso Trezene, dalla dedica conservatasi su un altare quadrato in marmo bianco, datata all’età imperiale, che recita: Διὸς | Ἀποβατη- | ρίου «a Zeus protettore di chi sbarca» (IG IV 1575; cfr. Lenormant 1864, 66 e ancora Jessen, s.v. Ἀποβατήριος, Ἀποβατηρία, RE I.2, col. 2814). L’autenticità dell’iscrizione, tuttavia, è dibattuta: difesa già da Lenormant 1864, 66, nella prima pubblicazione di questa dedica, e successivamente anche da Pugliese Carratelli 1976, 514, viene invece messa in dubbio da M. Fraenkel, che colloca l’epigrafe tra i «Tituli spurii vel suspecti» della sua edizione di iscrizioni greche (IG IV 1575; cfr. Pugliese Carratelli 1976, 514).
f. Il termine a è attestato anche come epiteto cultuale della regina di Pergamo Apollonide di Cizico, moglie di Attalo I Sotere e madre di Eumene II e Attalo II, divinizzata dopo la morte sotto il nome di Apollonis Eusebés (cfr. ancora Jessen, s.v. Ἀποβατήριος, Ἀποβατηρία, RE I.2, col. 2814). In un’iscrizione rinvenuta presso l’antica Teos (Smirne) e datata agli anni compresi tra il 166 e il 159 a.C., infatti, si può leggere così: καθι]- | [δρύσ]ασθαι [βωμὸν] θεᾶς Ἀπολλωνίδος Εὐσεβοῦς | Ἀποβατηρίας ἐ[ν τῆι ἀγορᾶι?] | [ἐν τῶι] ἐπιφα[νεσ]τάτωι τόπωι καὶ συντελεῖσθαι ἐπ’ αὐτοῦ [θ]υσ[ίαν —] «porre un altare alla dea Apollonide Eusebés protettrice di chi sbarca, nella piazza pubblica (?), nel punto più visibile, e celebrarvi un sacrificio» (Robert, Ét.anat., 18-19, n. 1; cfr. OGIS 309, 13-15; SEG 4-619). W. Dittenberger (OGIS 309, n. 9) suggerisce che il luogo scelto per i sacrifici in onore della regina divinizzata fosse il punto in cui ella era solita sbarcare dalle navi quando giungeva a Teos per mare: «inde cognomen». Secondo Robert 1937, 19, su questa stessa linea, il fatto che Apollonide è qui invocata come protettrice degli sbarchi significa che l’altare doveva essere innalzato proprio «à l’endroit même où la reine débarqua lors d’une visite à Teos, sur l’agora du port». E così commenta anche Fenet 2016, 122. Secondo Nilsson 1950, 163 e 373, invece, l’epiklesis è da mettere in relazione con il luogo della discesa di Apollonide dal proprio carro durante una visita in città: il luogo della κατάβασις della regina sarebbe stato venerato, in tal senso, come il luogo di una παρουσία divina. Si distingue tra tutte l’interpretazione di Pugliese Carratelli 1976, 515-516, il quale precisa che l’epiteto a si riferisce, qui come altrove, specificamente alla funzione protettiva della divinità verso altri, e non allo sbarco o alla discesa della divinità (qui, della monarca divinizzata) stessa; con questo presupposto, lo studioso ricollega la consacrazione dell’altare ad Apollonide a con «l’arrivo a Teos, per mare, di uno dei due figli della regina, Eumene od Attalo» (Pugliese Carratelli 1976, 516). L’iscrizione è, ad ogni modo, significativa, poiché testimonia l’associazione del termine a anche a sovrani divinizzati e non solo a numi olimpici. Allo stesso modo, si trova documentata l’attribuzione a imperatori romani di epiteti concernenti la protezione divina al momento dell’approdo: nel sito dell’antica Eritre sono attestati concorsi pubblici in onore di Adriano chiamati μεγάλα Ἁδριάνεια Ἐπιβατήρια (IGR IV 1542), cioè relativi ad Adriano «che protegge chi sbarca»; Filone d’Alessandria (Leg. 151) documenta inoltre la presenza ad Alessandria d’Egitto di un tempio dedicato ad Augusto Ἐπιβατήριος «protettore degli sbarchi», affine al significato dell’aggettivo Ἐκβατήριος (cfr. Camia 2009, 213, n. 51), scrivendo: οὐδὲν γὰρ τοιοῦτόν ἐστι τέμενος, οἷον τὸ λεγόμενον Σεβαστεῖον, ἐπιβατηρίου Καίσαρος νεώς: «Non esiste tempio tale quale quello che chiamiamo Augusteo, il tempio di Cesare protettore di chi sbarca»; come epiteto di Traiano, infine, è attestato nel Peloponneso, a Ermione, l’aggettivo Ἐμβατήριος «protettore della navigazione», già epiteto di Zeus, riferito all’imbarco e al momento della partenza per mare (IG IV 701; cfr. Robert 1963, 315, n. 3). Anche in quest’ultimo caso rimane incerta l’interpretazione esatta del significato dell’epiklesis: secondo alcuni studiosi, essa può fare riferimento al «presunto passaggio dell’imperatore da Ermione durante il suo viaggio verso Oriente nel 113 per intraprendere la campagna militare contro i Parti» (Camia 2009, 213, n. 53; cfr. anche Halfmann 1986, 187), e dunque la protezione divina sarebbe invocata a vantaggio dell’augusto; secondo altri, la protezione divina sarebbe richiesta all’imperatore stesso, direttamente assimilato a Zeus Embaterio, a favore dei porti dell’Impero (cfr. soprattutto Richards 1988).
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