Il termine, la cui forma del nominativo singolare è incerta (σταμίς o σταμίν), viene normalmente ricondotto al verbo ἵστημι/ἵσταμαι, dal quale deriverebbe l’idea di “reggere, mantenere in posizione, sostenere” (Boisacq, DELG, 901; Frisk, GEW, II, 776; Chantraine, DELG, II, 1043; Beekes, EDG, II, 1390). Frisk, Chantraine e Beekes, ibid., sono tutti concordi nell’accostare la formazione di questo sostantivo a quella di analoghe voci quali ἑρμīν- (accanto a ἕρμα), ῥηγμīν- (accanto a ῥῆγμα), ὑσμīν-: l’infisso īν- deriverebbe da una radice in -μ- o -μ(ε)ν, che si ritrova, per esempio, anche in στάμνος. L’abbreviamento di ῐ in σταμίνεσσι (Od., 5, 252), che Boisacq, ibid., ipotizzava fosse, in quanto del tutto isolato, molto antico (rimandando a Brugmann, Delbrück 1906, 315 n. 1), potrebbe piuttosto essere dovuto a esigenze di tipo metrico (così Frisk, Chantraine e Beekes, ibid., sulla scia di Debrunner 1938, 175), per quanto l’abbreviamento metrico in Omero sia comunque molto più raro del corrispettivo allungamento e i casi certi di questo tipo di fenomeno siano numericamente molto limitati (cfr. Chantraine 2013, 105-107). La quantità dello iota rimane dunque incerta, anche perché il nominativo plurale è tramandato dai manoscritti delle fonti lessicografiche ed etimologiche antiche sia nella forma σταμῖνες sia in quella σταμίνες (cfr. Schironi 2004, 485, n. 4). La parola, inoltre, solitamente indicata di genere maschile nei moderni dizionari etimologici, presenta almeno un’oscillazione sicura di genere in Nonno: in D., 36, 405, infatti, l’aggettivo a esso concordato risulta declinato al genere femminile.
Σ ad ε 252, e1 Pontani, σταμίνεσσι: τοῖς ἐπιμήκεσι ξύλοις καὶ στήμονος τάξιν ἐπέχουσιν, ἃ παρατίθεται τοῖς ἰκρίοις ἐξ ἑκατέρων τῶν μερῶν πρὸς τὸ ἑστάναι· ἢ τοῖς ὀρθοῖς ξύλοις, οἷς τὰ πηδάλια ἐμπήσσεται, “«con gli σταμῖνες»:[1] [significa] con legni allungati e aventi una disposizione a ordito, i quali vengono accostati agli ἴκρια da entrambe le parti con funzione di sostegno; oppure [significa] con legni diritti ai quali viene fissato il timone” (cfr. Σ ad ε 252, e2, e3 Pontani; Poll., 1.92 Bethe; Orion σ142 Sturz; Suid., σ1003 Adler); Hsch., σ1633 Hansen, s.v. σ· παραστάται, καὶ τὰ ἐπὶ τῆς σχεδίας ὀρθὰ ξύλα, πρὸς ἃ αἱ σανίδες προσηλοῦνται, ἢ πάσσαλοι. παρὰ τὸ ἑστάναι, “sostegni, e i legni diritti sulla zattera, ai quali vengono inchiodate le tavole del ponte, oppure giunture. [La parola deriva] da ἑστάναι”; Et. Gen., s.v. σ·[2] τὰ καταστρώματα τῆς νηὸς, ἐφ’ ὧν ἱστάμεθα. Ἀρίσταρχος δὲ ὀρθὰ ξύλα, οἷον στήμοσιν ἐοικότα, “il ponte della nave, sul quale si sta in piedi. Aristarco, invece, [intende] legni diritti, simili agli orditi” (= EM 724, 55-57 Gaisford; Et. Sym. e Mg. Gr. s.v. σ[3] = Ps.-Zonar., σ1667, 19-21 Tittmann); Phot. σ500 Theodoridis, s.v. σταμνίονες· τὰ ἐν ταῖς σχεδίαις ὀρθὰ πεπηγότα ξύλα, “σταμνίονες: i legni nelle zattere inchiodati diritti”; Eust. in Od. 1533, 24 (ad ε 252) Stallbaum, δῆλον δὲ ὅτι τοῖς ὀρθοῖς ἰκρίοις οἷα καί τισι κρόκαις, περιτιθέμεναι πυκναὶ σταμῖνες ἐκτὸς δίκην στημόνων, ἁρμόττουσι τὴν ναῦν. […] δῆλον δὲ ὅτι δικατάληκτον ἡ σταμίν. καὶ ὅτι οἱ παλαιοὶ ἑρμηνεύοντες, ἐπιμήκη ξύλα τὰς σταμῖνας φασίν. ἃ στήμονος τρόπον ἔχοντα, παρατιθέμενα τοῖς ἰκρίοις ἑκατέρωθεν, ἑστάναι ποιοῦσιν αὐτά. τινὲς δὲ, καὶ ὀρθὰ ξύλα τὰς σταμῖνας εἶπον, οἷς φασι τὰ πηδάλια προσεμπήσσεται. οἱ δέ φασιν, ὅτι σταμῖνες, τὰ ἐν τῷ χείλει τοῦ πλοίου ἐξέχοντα ὀρθὰ ξύλα τοῦ κατὰ τὸ περίτονον τόπου […], “risulta che i fitti σταμῖνες, accostati esternamente a mo’ di ordito agli ἴκρια diritti come ai fili di una trama, tengono insieme la nave. […] Risulta anche che la parola σταμίν ha due terminazioni [σταμίν e σταμίς]. E [risulta] anche che gli antichi esegeti dicono che gli σταμῖνες sono legni allungati, disposti a mo’ di ordito su entrambi i lati degli ἴκρια, e fanno in modo che questi si reggano. Altri invece affermano che gli σταμῖνες sono legni dritti a cui – dicono – viene fissato il timone; altri ancora dicono piuttosto che gli σταμῖνες sono legni diritti che sporgono dal bordo della nave a mo’ di copertura perimetrale […]”.
[1] Nella traduzione qui approntata dei brani lessicografici si è deciso di mantenere in greco i termini σ e ➔ἴκρια in virtù della loro non univoca interpretazione: per i dettagli cfr. le relative discussioni.
[2] Dell’Etymologicum Genuinum esistono per ora solo edizioni critiche parziali e/o compendiarie, per un elenco completo delle quali cfr. Baldi 2013, XXVI: nessuna di queste edizioni include la sezione dell’etimologico comprendente la voce σταμῖνες che qui interesserebbe. Per questo motivo il testo qui citato dall’Etymologicum Genuinum è tratto da Schironi 2004, 484, la quale fornisce, limitatamente agli obiettivi della propria pubblicazione, una nuova edizione di alcune brevi sezioni di diversi etimologici bizantini.
[3] Lo stesso discorso fatto a proposito dell’assenza di edizioni moderne complete dell’Etymologicum Genuinum e dell’utilità in questo senso del lavoro di Schironi 2004, 484 vale anche per l’Etymologicum Symeonis e per la Μεγάλη Γραμματική (sulle cui edizioni esistenti cfr. Baldi 2013, XXIII-XXIV).
a. σ compare come hapax in Omero nella descrizione dell’imbarcazione di Odisseo nel V canto dell’Odissea (vv. 249-253): ὅσσον τίς τ’ ἔδαφος νηὸς τορνώσεται ἀνὴρ | φορτίδος εὐρείης, εὖ εἰδὼς τεκτοσυνάων, | τόσσον ἐπ’ εὐρεῖαν σχεδίην ποιήσατ’ Ὀδυσσεύς. | ἴκρια δὲ στήσας, ἀραρὼν θαμέσι σταμίνεσσι, | ποίει· ἀτὰρ μακρῇσιν ἐπηγκενίδεσσι τελεύτα, “quanto è il fondo di un’ampia nave oneraria tracciato ad arte da un uomo ben esperto dei lavori di carpenteria, tanto larga si costruì la zattera Ulisse. Collocò le ἴκρια e le fissò con fitti σταμῖνες, continuando il lavoro: con lunghe ἐπηγκενίδες sovrapposte lo completò” (Di Benedetto 2010).[1] Il passo presenta nel suo complesso numerose difficoltà di comprensione, anche a causa dello stile succinto caratteristico di numerose descrizioni omeriche, ed è stato oggetto nel corso della storia degli studi di interpretazioni spesso contrastanti: uno dei punti di maggiore difficoltà è costituito dalla definizione del tipo di imbarcazione che Odisseo costruirebbe per lasciare l’isola di Calipso. Alla fine dell’Ottocento l’orientamento interpretativo prevalente, riscontrabile per esempio in Brieger 1870 e in Warre 1884 (facevano eccezione Merry, Riddell 18862), poi ripreso in epoca più recente da Gray 1974, era che si trattasse di una zattera, tuttalpiù fornita di un piccolo ponte rialzato su cui sarebbe stato collocato il timone per la guida (➔πηδάλιον, v. 255): questa linea interpretativa si è nel tempo affermata anche nella traduzioni del testo omerico in lingua moderna, tanto che è diventata quasi una prassi, più o meno consapevole, per i traduttori quella di rendere il greco ➔σχεδίη del v. 251 con “raft” (da Palmer 1894, passando per Mackail 1903 e Murray 1919, fino a Wilson 2018) e con “zattera” (da Romagnoli 1923, passando per Calzecchi Onesti 1963 e Privitera 1982, fino a Di Benedetto 2010).
In opposizione a questa lettura del racconto omerico, Casson 1964 e 1971, 217-219, seguito da Kurt 1979, 21-24 e da Heubeck, West, Hainsworth 1988, 274-275, ha invece sostenuto che l’imbarcazione su cui Odisseo salperebbe dall’isola di Calipso sia una barca vera e propria: innanzitutto perché una zattera in grado di navigare in mare aperto è difficile da immaginare; in secondo luogo, perché nel passo omerico in questione si dice esplicitamente che Odisseo si impegna a levigare e a tirare dritti a filo i tronchi (v. 245), laddove invece, se si fosse trattato di una zattera, questi ultimi sarebbero stati lasciati grezzi o quasi per non compromettere la capacità portante dell’imbarcazione stessa; infine – ed è questo il punto più importante – le zattere, essendo semplici piattaforme, non sono dotate di ulteriori strutture quali fiancate, coste o ponti di cui invece Odisseo sembrerebbe dotare la propria imbarcazione (vv. 252-253). Tra l’altro, l’idea che Odisseo costruisca una nave vera e propria e non una zattera era già stata sostenuta da Brewster 1926, il quale aveva puntualmente confrontato la tecnica di costruzione navale di Odisseo e alcune specifiche strutture della sua imbarcazione con l’arte di alcuni carpentieri navali allora ancora attivi in certe parti dell’Egitto, sostenendo di poterne dedurre numerosi spunti chiarificatori per il passo odisseico stesso.
b. Uno dei punti che maggiormente divide le due interpretazioni circa la natura dell’imbarcazione costruita da Odisseo riguarda proprio il modo di intendere il termine σ. Solitamente con esso si intendono i montanti verticali collegati alla chiglia dell’imbarcazione, i quali, accostati gli uni agli altri, forniscono un supporto strutturale molto importante per lo scafo: sarebbero, cioè, le cosiddette “ordinate” (anche dette “costole”, composte dalle “madiere”, ossia le travi appoggiate alla chiglia, e dai loro prolungamenti, detti “staminali”). Così intendono σ i principali lessici ed enciclopedie, come Ebeling 1885 s.v. (“lignum rectum, oblique stans in latere navis affigendis costis”), Miltner 1931, 909 (“Spanten”) e il LSJ s.v. (“the ribs or frame-timbers of a ship, which stand up from the keel”), i dizionari etimologici moderni, come Chantraine, DELG, II, 1043 (“poutrelles continuant les varangues”) e Beekes, EDG, II, 1390 (“vertical side-beams of a ship”), nonché diversi contributi dedicati specificamente all’imbarcazione costruita da Odisseo nell’Odissea, come i già citati Brewster 1926, 52 (“ribs”), Casson 1971, 218 (“close-set frames”), Kurt 1979, 23, 127 (“Spanten”). A questo proposito Casson 1964 e, soprattutto, 1971, 201-216 ha efficacemente chiarito quale fosse la tecnica adottata dai carpentieri navali durante tutto il periodo greco-romano per la realizzazione di ogni tipo di imbarcazione, da quelle più piccole usate per la pesca sotto costa fino a quelle più grandi da carico destinate a collegare i principali porti del Mediterraneo. A differenza della procedura costruttiva moderna e in particolare occidentale, la quale prevede in una prima fase la costruzione dello scheletro dell’imbarcazione mediante l’unione della chiglia con i montanti verticali laterali, e solo successivamente la realizzazione di entrambe le fiancate tramite l’accostamento e il fissaggio di una serie più o meno alta di assi sovrapposte, nella tecnica antica greco-romana prima veniva realizzato il “guscio” dell’imbarcazione con lunghe file di assi sovrapposte che andavano a formare le fiancate laterali, e solo in un secondo momento, soprattutto se si riteneva che l’imbarcazione necessitasse di un ulteriore sostegno strutturale, veniva aggiunto all’interno di tale guscio uno scheletro di rinforzo costituito da serie di montanti verticali accostati gli uni agli altri. Secondo Casson 1964 e 1971, 217-219, sarebbe esattamente questo secondo metodo di costruzione quello descritto da Omero nel passo del V libro dell’Odissea: prima l’eroe avrebbe realizzato il guscio dell’imbarcazione incastrando e poi inchiodando le varie file di assi che aveva appena tagliato con gli strumenti fornitigli da Calipso (vv. 247-248), fino a ottenere un ampio scafo (vv. 249-251); solo in un secondo momento (vv. 252-253), avrebbe provveduto a rafforzare la struttura appena messa insieme aggiungendo all’interno del guscio file di fitti puntelli verticali, indicati in Omero proprio dal termine σ, per conferire alle fiancate maggiore stabilità e sostegno (così anche Kurt 1979, 127).
c. Del significato di σ sono però state proposte anche altre interpretazioni, che partono dal termine ἴκρια: esso in Omero, dove risulta impiegato ordinariamente al plurale, viene normalmente interpretato come indicante la piattaforma di legno che veniva rialzata a prua e/o a poppa delle imbarcazioni su cui si sistemavano durante navigazione il timoniere ed eventualmente la sentinella e/o i passeggeri (cfr. anche ➔ἴκρια). La traduzione di ἴκρια con “ponte” può risultare fuorviante, nella misura in cui nelle navi omeriche le due piattaforme sopraelevate a prua e a poppa non erano con ogni probabilità collegate tra di loro mediante un ponte continuo vero e proprio, che di fatto non esisteva, e questo sarebbe anche il motivo per cui nei poemi omerici le navi vengono spesso dette “concave” (γλαφυρός, per esempio, in Il., 2, 454 e Od., 3, 287 oppure κοῖλος in Il., 1, 26 e Od., 1, 211: cfr. Casson 1971, 44 e Morrison, Williams 1968, 47-48, 51). In questo senso intendono il termine ➔ἴκρια il LfrgE (“Aufbau, Deck”) e il LSJ (“half-deck at the stern of a ship”), Chantraine, DELG, I, 460 (“gaillards d’avant et d’arrière”) e Beekes, EDG, I, 584-585 (“half deck”); allineati con questa interpretazione sono anche Warre 1884, 218 e Casson 1971, 44, 179 n. 58.
Un significato molto diverso, invece, viene attribuito al termine ➔ἴκρια da Brieger 1870, 207-208, la cui posizione in merito è ben riassunta e corredata da un’efficace illustrazione grafica in Merry, Riddell 18862, 542-543: secondo questa interpretazione, che per molti aspetti riprende la ricostruzione già proposta diversi decenni prima da Grashof 1834, 10-11, Odisseo, dopo aver realizzato il pavimento della propria imbarcazione (ἔδαφος) (vv. 247-248), avrebbe provveduto a fissare alle estremità laterali di quest’ultimo le quattro fiancate, ciascuna delle quali, composta da assi orizzontali, sarebbe stata rinforzata e tenuta in posizione da diversi pali verticali fissati su tutti e quattro i lati della struttura. Nel passo omerico il termine ➔ἴκρια designerebbe proprio tali pali verticali laterali (specie di coste dritte, non ricurve), mentre σ indicherebbe una serie di puntoni deputati a fissare tali pali verticali ai tronchi dell’ἔδαφος. Infine, affinché venisse assicurata alla struttura una ancora maggiore compattezza e solidità, i vari ➔ἴκρια sarebbero stati uniti a livello delle loro sommità da lunghi e robusti listelli di legno, indicati nel passo dell’Odissea dal termine ➔ἐπηγκενίδες (v. 253).
La ricostruzione di Brieger 1870, 207-208 restituisce in sostanza l’immagine di una ➔σχεδίη che nulla ha a che fare né con una zattera né con una nave: come viene osservato giustamente da Merry, Riddell 18862, 543, immaginare che Odisseo per lasciare l’isola di Calipso abbia costruito un’imbarcazione a fondo piatto con pareti laterali verticali è molto difficile, sia per l’ovvia impossibilità per una costruzione simile di navigare in mare aperto sia per il fatto che tale proposta di ricostruzione trascura l’indicazione data dal verbo τορνώσεται del v. 249, il quale suggerisce l’andamento tondeggiante o comunque curvilineo della struttura dello scafo dell’imbarcazione in questione. Eppure, tale interpretazione del passo dell’Odissea è stata ripresa e accettata anche da Gaheis 1938, 31-32, il quale rifiuta nettamente l’idea che la zattera di Odisseo fosse munita di un ponte rialzato sul quale si sarebbe collocato l’eroe durante la navigazione (solitamente indentificato con gli ἴκρια del v. 252), rimandando per l’interpretazione di ἴκρια a una notazione di Eustazio 1533, 23-24 Stallbaum, secondo la quale gli ἴκρια sarebbero da indentificare con le centine laterali dell’imbarcazione, erette verticalmente così come suggerito dall’impiego del verbo στήσας al v. 252 (mentre le assi che compongo il tavolato del ponte sono per forza di cose posate in orizzontale): ἴκρια δοκεῖ τὰ ἐγκοίλια λέγεσθαι. ὡς δηλοῖ τὸ, ἴκρια στήσας. αὐτὰ γάρ εἰσιν ὀρθὰ οὐ μὴν τὰ καταστρώματα. Gaheis 1938, 31-32 segue Brieger 1870, 207-208 anche nel sostenere che il termine σ indicherebbe i puntelli fissati obliquamente al pavimento della zattera a sostegno degli ➔ἴκρια laterali e che con ➔ἐπηγκενίδες Omero si riferirebbe a elementi di rinforzo (sorta di falchette) fissati orizzontalmente sulle estremità degli ➔ἴκρια stessi, lungo tutto il perimetro dell’imbarcazione.
d. Più incerta si mostra invece Gray 1974, 112, secondo la quale la ricostruzione proposta da Gaheis 1938, 31-32 sulla scia di Brieger 1870, 207-208 ha oggettivamente pochi elementi di verisimiglianza: una cesta quadrata galleggiante, chiusa sui quattro lati, sarebbe risultata ben poco adatta al mare aperto, anche rispetto a una semplice zattera; inoltre, è evidente che le barriere verticali laterali (gli ➔ἴκρια nell’interpretazione di Brieger e Gaheis) realizzate per proteggere l’“imbarcazione” avrebbero potuto facilmente cedere all’impeto delle onde, mettendo così in serio pericolo la sopravvivenza dell’eroe; infine, l’idea che la zattera di Odisseo non fosse dotata di un ponte sopraelevato sembra a Gray assurda, dato che tale struttura era assolutamente comune anche nelle zattere. Ella intende quindi i vv. 252-253 nel seguente modo: “er machte ein Deck, errichtete es, indem er es an dichtgesetzten Streben befestigte, aber er vollendete es mit langen Seitenplanken”. Sull’esatta interpretazione di σ e di ➔ἐπηγκενίδες Gray 1974, 112 rimane comunque incerta: potrebbe senz’altro trattarsi di una struttura a intreccio che va a costituire le fiancate dell’imbarcazione, realizzata con una tecnica simile a quella dell’ordito e della trama nella tessitura, così come sarebbe suggerito da Σ ad ε 252, e1 Pontani (su cui cfr. anche infra, g), ma potrebbe anche darsi che il termine ➔ἐπηγκενίδες indichi una sorta di parapetto o di balaustra di cui il ponte su cui Odisseo sedeva (v. 271) avrebbe potuto essere fornito.
e. Ancora diversa è l’interpretazione che di ➔ἴκρια e di σ propose Warre 1884, 217-219: una volta che la realizzazione del pavimento della zattera era completata (vv. 246-251), ad Odisseo non rimaneva che costruire un ponte sopraelevato così come gli aveva prescritto Calipso (vv. 162-164). Tale ponte sarebbero stato composto da un tavolato di assi montate orizzontalmente su una serie di pali eretti in verticale molto vicini tra loro, conficcati in buchi appositamente realizzati nel pavimento della zattera: tali pali eretti in verticale e il ponte sarebbero in Omero indicati rispettivamente dai termini σ e ➔ἴκρια. A tal proposito Warre 1884, 218 precisa che gli σ non possono essere interpretati come le coste della nave: queste ultime, infatti, sono necessariamente ricurve, mentre gli σ sarebbero, secondo l’indicazione di Aristarco conservata in alcuni etimologici bizantini, ὀρθὰ ξύλα (cfr. per esempio Et. Gen., s.v. σ, e infra, g); allo stesso modo, intendere ἴκρια nel senso di barriere laterali di protezione contro le onde (come fa per esempio Brieger 1870, 207-208) sembra a Warre “perverse”, soprattutto alla luce del confronto con Hdt., 5, 16, dove il termine indica inequivocabilmente un tavolato di assi orizzontali montato su tronchi verticali di sostegno. Infine, per assicurare meglio le assi del ponte posate in orizzontale sugli σ e prevenirne movimenti o rimbalzi durante la navigazione, Odisseo avrebbe provveduto a inchiodare su entrambi i lati lunghe assi di rinforzo, indicate in Omero dal termine ➔ἐπηγκενίδες.
f. Infine, occorre menzionare un’ultima proposta interpretativa di σ avanzata da Morrison, Williams 1968, 48 e poi ripresa anche da Kurt 1979, 128-132 (cfr. anche s.v. ἴκρια, Trattazione, c): ➔ἴκρια indicherebbe, in Omero in generale e quindi anche nel passo di Od., 5, 252-253, il ponte sopraelevato di poppa su cui si sistemava il timoniere durante la navigazione e alla cui realizzazione concorrerebbero due strutture indicate appunto dai termini σ e ➔ἐπηγκενίδες: questi ultimi indicherebbero serie rispettivamente di montanti verticali e di assi orizzontali che andrebbero a creare una sorta di piccola cabina aperta a protezione del timoniere. Nella direzione di questa interpretazione punterebbe anche, secondo Morrison e Williams, la probabile etimologia del termine ἐπηγκενίς, che sarebbe riferibile a ἀγκών, “gomito”: la connessione etimologica si potrebbe spiegare, secondo i due studiosi, con il fatto che la struttura degli ➔ἐπηγκενίδες, disposti longitudinalmente rispetto agli σ, avrebbe offerto al timoniere una sorta di “poggia-gomito”, che avrebbero reso più agevole la guida dell’imbarcazione durante la navigazione. Questo tipo di struttura troverebbe un significativo riscontro in diverse raffigurazioni vascolari di stile geometrico, ma anche in alcuni affreschi risalenti all’età del bronzo e riconducibili alla civiltà minoica, rinvenuti in alcuni edifici facenti parte di un significativo complesso urbano edificato sull’isola di Thera (cfr. Marinatos 1974, 34-44): Marinatos 1974, 35 nota che tali affreschi in cui gli ➔ἴκρια vengono raffigurati come piccole cabine erette a poppa delle imbarcazioni a protezione del timoniere costituiscono la più antica rappresentazione a oggi nota nell’ambito dell’architettura navale egea di tale struttura e sarebbe proprio a essa che anche Omero farebbe riferimento ai vv. 252-253 di Od., 5 quando parla dell’erezione da parte di Odisseo degli ἴκρια mediante gli σ (pali verticali) e gli ➔ἐπηγκενίδες (assi orizzontali).
g. Alla luce delle proposte interpretative avanzate dai critici moderni, si propone di seguito una breve discussione sul punto di vista di Aristarco, la cui ricostruzione per mezzo delle fonti indirette è tanto problematica quanto importante in considerazione dell’alto livello di autorevolezza attribuibile al filologo alessandrino nell’ambito della critica omerica. Dagli etimologici (Et. Gen. ed EM: cfr. supra, Attestazioni lessicografiche) si può ricavare che l’interpretazione del termine σ data da Aristarco doveva essere ὀρθὰ ξύλα, οἷον στήμοσιν ἐοικότα: il filologo alessandrino accostava quindi la struttura degli σ, legni dritti delle navi, a quella dei fili che nei telai compongono l’ordito (στήμονες), attorno a cui viene intrecciata la trama. Tale paragone tra gli σ e i fili dell’ordito si ritrova anche in Eust. in Od. 1533, 28-29 Stallbaum: [δῆλον] καὶ ὅτι οἱ παλαιοὶ ἑρμηνεύοντες, ἐπιμήκη ξύλα τὰς σταμῖνας φασίν. ἃ στήμονος τρόπον ἔχοντα, παρατιθέμενα τοῖς ἰκρίοις ἑκατέρωθεν, ἑστάναι ποιοῦσιν αὐτά. In questo passo vengono citati “antichi esegeti” secondo i quali gli σ sarebbero lunghi legni paragonabili ai fili che compongono l’ordito nei telai e sarebbero disposti su ambo i lati degli ➔ἴκρια in modo tale da sorreggerli.[2] Schironi 2004, 488 ritiene altamente probabile che l’interpretazione degli “antichi esegeti” menzionata da Eustazio contenente la metafora dei fili dell’ordito per spiegare gli σ sia proprio l’interpretazione di Aristarco di cui riferiscono gli etimologici e di cui si troverebbe traccia anche in Σ ad ε 252, e1 Pontani: σταμίνεσσι: τοῖς ἐπιμήκεσι ξύλοις καὶ στήμονος τάξιν ἐπέχουσιν, ἃ παρατίθεται τοῖς ἰκρίοις ἐξ ἑκατέρων τῶν μερῶν πρὸς τὸ ἑστάναι. Tale identificazione dell’interpretazione trasmessa in forma anonima tanto in Eustazio quanto nello scolio al verso dell’Odissea con la posizione di Aristarco di cui danno conto alcuni etimologici è senz’altro molto probabile, anche se difficile da dimostrare in maniera sicura.
In ogni caso, se l’attribuzione degli etimologici ad Aristarco della metafora dei fili dell’ordito per spiegare gli σ è effettivamente attendibile, allora si potrà provare a congetturare con Schironi 2004, 488-489 come il filologo alessandrino si figurasse l’imbarcazione di Odisseo: essa sarà stata composta da un incrocio di elementi verticali, gli σ, paragonabili all’ordito di un telaio, e di altri elementi orizzontali, verosimilmente gli ➔ἴκρια, assimilabili ai fili della trama. ➔ἴκρια sarà dunque stato probabilmente interpretato da Aristarco nel senso di “ponte”, mentre i pali verticali, verosimilmente laterali, che avrebbero dovuto reggere tale ponte saranno stati gli σ: rispetto a tale ricostruzione della posizione aristarchea, può forse confortare il fatto che un’interpretazione molto simile di σ venga fornita anche da Poll., 1, 92 (τὰ δὲ ξύλα ἐφ’ ὧν αἱ σανίδες ἐπίκεινται) e da Hsch., σ1633 (παραστάται, καὶ τὰ ἐπὶ τῆς σχεδίας ὀρθὰ ξύλα, πρὸς ἃ αἱ σανίδες προσηλοῦνται, ἢ πάσσαλοι. παρὰ τὸ ἑστάναι), i quali potrebbero in effetti averla derivata (direttamente o indirettamente) dal filologo alessandrino. Tutto questo, in ogni caso, non permette di giungere a una conclusione sicura circa l’opinione di Aristarco a proposito del tipo di imbarcazione costruita da Odisseo: un ponte (➔ἴκρια) sorretto da pali verticali (σ) come quello che si può ipotizzare avesse immaginato Aristarco poteva essere realizzato tanto su una zattera quanto su una nave vera e propria.
h. σ ricorre, oltre che in Omero, anche in due passi delle Dionisiache di Nonno di Panopoli, il quale ha chiaramente presente come fonte e modello per il proprio lessico nautico il brano del V libro dell’Odissea. Il primo passo è tratto dalla descrizione della costruzione della flotta di Dioniso a opera dei Radamanti, in 36, 401-409: ἀλλὰ Λυαίῳ | νῆας ἐτεχνήσαντο μαχήμονας· ἀμφὶ δὲ λόχμας | ποίπνυον ἄλλοθεν ἄλλος· ὁ μὲν τορνώσατο γόμφους, | ὃς δὲ μέσην πεπόνητο περὶ τρόπιν, ἴκρια δ’ ἄλλος | ὀρθὰ περὶ σταμίνεσσιν ἀμοιβαίῃσιν ὑφαίνων | ὁλκάδι τοῖχον ἔτευχεν ἐπηγκενίδας τε συνάπτων | μηκεδανὰς κατέπηξε, βαθυνομένῃ δὲ μεσόδμῃ | ὑψιφανῆ μέσον ἱστὸν Ἄραψ ὠρθώσατο τέκτων, | λαίφεϊ πεπταμένῳ πεφυλαγμένον, “essi costruiscono navi da guerra per Lieo: nelle boscaglie si affaccendano chi da una parte chi dall’altra. Uno tornia le caviglie, un altro lavora alla parte mediana della carena; un altro ancora connettendo il tavolato diritto ai puntelli in successione costruisce la fiancata della barca, e lo fissa unendovi le lunghe assi; l’artigiano arabo drizza nella base profonda l’altissimo albero maestro, riservato per la vela spiegata” (Agosti 2004). Il secondo passo è tratto dal discorso in cui Eracle consiglia i Fenici su come costruire un’imbarcazione, in 40, 444-453:[3] τεύξατέ μοι ξένον ἅρμα βατῆς ἁλός· ὀξυτόμοις δὲ | κόψατέ μοι πελέκεσσι ῥάχιν πιτυώδεος ὕλης· | τεύξατέ μοι σοφὸν ἔργον· ὑπὸ σταμίνεσσι δὲ πυκνοῖς | ἴκρια γομφώσαντες ἐπασσυτέρῳ τινὶ κόσμῳ | συμφερτὴν ἀτίνακτον ἀρηρότι δήσατε δεσμῷ | δίφρον ἁλός, σχεδίην πρωτόπλοον, ἣ διὰ πόντου | ὑμέας ὀχλίζειε· καὶ ἀγκύλον ἄκρον ἀπ’ ἄκρου | πρωτοπαγὲς δόρυ μακρὸν ὅλον στήριγμα δεχέσθω· | ἴκρια δὲ σταμίνεσσιν ἀρηρότα δήσατε κύκλῳ, | τοίχου δουρατέου πυκινὸν τύπον, “fabbricatemi uno strano carro per marciare sul mare; con affilate scuri tagliatemi la cresta della foresta ricca di pini; fabbricatemi un’opera ingegnosa: inchiodando le tavole sotto compatti puntelli, l’una sull’altra, legate e unite saldamente, in un connesso legame, il cocchio del mare, la prima imbarcazione a navigare, che per mare vi porti; prima fissate però una lunga trave, ricurva da un estremo all’altro, perno dell’insieme; legate quindi in cerchio le tavole connesse ai puntelli, a guisa d’una compatta murata di legno” (Accorinti 2004). In entrambi i passi è notevole il fatto che ἴκρια non sembri essere utilizzato da Nonno nel significato di “ponte” che il termine assume sia in Omero (Od. 3, 353; 13, 74) sia nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (4, 80, 1663). Questo è chiaro innanzitutto da 36, 404-405, dove gli ἴκρια vengono detti ὀρθά, ossia “dritti”, “verticali”, mentre le assi del tavolato del ponte sono necessariamente posate in orizzontale; inoltre, se si incrocia questa indicazione di 36, 404-405 con quanto viene detto in 40, 446-447, dove si afferma che gli ➔ἴκρια vengono inchiodati sotto gli σ, e se si tiene presente la tecnica di costruzione delle imbarcazioni in uso nel mondo greco-romano così come viene ricostruita da Casson 1971, 201-216, si potrà giungere alla ragionevole conclusione che Nonno volesse indicare con ➔ἴκρια le coste laterali dell’imbarcazione, ossia i montanti verticali (coste o ordinate) che, inchiodati alla chiglia, sostengono le fiancate, mentre con σ il fasciame esterno dello scafo composto da assi sovrapposte in orizzontale.[4]
Le scelte di attribuzione di significato operate da Nonno per i termini ἴκρια e σ potrebbero senz’altro apparire bizzarre, ma a questo proposito occorrerà tenere presente che con ogni probabilità il poeta tardo-antico non era più in grado alla sua epoca di comprendere adeguatamente i termini tecnici impiegati da Omero[5] e che per questo potrebbe essersi servito del supporto dell’esegesi antica, nella quale in effetti è attestata un’interpretazione di ➔ἴκρια che punterebbe nella medesima direzione indicata dal testo nonniano: si tratta di Σ ad ε 163, c Pontani (ἴκρια: τὰ ὀρθὰ ξύλα, ἐφ’ ὧν τὰ τῆς νεὼς καταστρώματα προσπήγνυται, τὰ “ἐγκοίλια” λεγόμενα παρ’ ἡμῖν), in cui in effetti il termine ἴκρια viene interpretato come indicante i legni verticali (ὀρθά, esattamente il medesimo aggettivo usato da Nonno in 36, 405) su cui poggiano i tavolati del ponte. Se si ipotizza che Nonno, forse anche sulla scia dello scolio appena considerato, abbia interpretato ἴκρια non nel senso di assi orizzontali del ponte, bensì di pali verticali delle coste, forse influenzato anche dal verbo στήσας di Od., 5, 252, allora per converso potrebbe aver trasformato gli σ omerici, con ogni probabilità strutture verticali, nelle assi orizzontali delle fiancate (fasciame esterno), per quanto questo significato, a differenza del caso di ➔ἴκρια, non parrebbe trovare riscontro in alcuna parte dell’esegesi antica (cfr. gli scoli citati supra, Attestazioni lessicografiche).
i. Infine, σ compare due volte anche in Ateneo (V, 206f, 207b), all’interno della descrizione tratta da un certo Moschione di una gigantesca nave fatta costruire da Ierone II, tiranno di Siracusa (ca. 306-215 a.C.): nessuno dei due passi, però, risulta essere particolarmente decisivo per la definizione del significato del termine σ, che comunque l’autore sembra utilizzare nel senso di assi laterali, coste dello scafo (così Canfora 2001, 511; Casson 1971, 194-195; Olson 2006, 493, 495). Come mi fa giustamente notare Luca Ruggeri, queste due occorrenze di σ sono interessanti perché si trovano in un testo in prosa di uno storico che descrive una nave storicamente esistita, senza apparentemente dipendere né direttamente né indirettamente dal passo del V libro dell’Odissea (a differenza, ovviamente, di Nonno). Questo fatto potrebbe suggerire che il termine σ, proprio in quanto termine tecnico della carpenteria navale, fosse ancora vivo e utilizzato all’epoca di Moschione. Del resto, non si può nemmeno escludere a priori una sopravvivenza del termine nel lessico specialistico navale anche molti secoli dopo Omero e Nonno: per quanto infatti manchino delle prove certe in tal senso, è forse degno di nota il fatto che nei dialetti neo-greci dell’Italia meridionale esistano effettivamente forme derivate da un ricostruito diminutivo *ϲταμίνιον, proprio con il significato di “tavole laterali del carro” e di “costole interne di una barca” (suggerimento di Luca Ruggeri; cfr. Rohlfs 1964, 480). Questo porterebbe forse a ipotizzare l’esistenza di una tradizione d’uso già antica del termine σ indipendente rispetto a quella omerica, di cui il passo di Moschione costituirebbe l’unica testimonianza antica superstite e i termini attestati nei dialetti neo-greci dell’Italia meridionale un possibile esito finale.
[1] Della traduzione di Di Benedetto qui riportata si è scelto di mantenere in greco i tre termini di più problematica interpretazione e, dunque, traduzione italiana, ossia, ➔ἴκρια, ➔σταμῖνες, ➔ἐπηγκενίδες. Per i dettagli le relative discussioni s.vv.
[2] Eustazio aggiunge che “altri”, senza ulteriori specificazioni, interpretavano gli σταμῖνες come legni dritti a cui veniva fissato il timone (τινὲς δὲ, καὶ ὀρθὰ ξύλα τὰς σταμῖνας εἶπον, οἷς φασι τὰ πηδάλια προσεμπήσσεται), mentre altri ancora intendevano il termine come indicante legni dritti che sporgevano dal bordo delle imbarcazioni (οἱ δέ φασιν, ὅτι σταμῖνες, τὰ ἐν τῷ χείλει τοῦ πλοίου ἐξέχοντα ὀρθὰ ξύλα τοῦ κατὰ τὸ περίτονον τόπου).
[3] Il fatto che in questo passo Nonno stia narrando chiaramente della costruzione di una nave vera e propria e non di una zattera è stato addotto da Casson 1971, 217 n. 1 come ulteriore elemento a favore della sua teoria secondo la quale anche quella costruita da Odisseo nel V libro dell’Odissea sarebbe una nave vera e propria e non una zattera; tuttavia, al di là del fatto che Nonno avrebbe potuto rielaborare in libertà il passo dell’Odissea e sostituire nella propria narrazione la costruzione di una zattera con quella di una nave, è lo stesso Casson, ibidem a precisare che senza dubbio Nonno non era più in grado di comprendere molti dei termini tecnici usati da Omero, quindi non si comprende bene come tale passo del poeta tardo-antico possa essere utilizzato da Casson per corroborare la propria interpretazione del passo omerico.
[4] Questa è l’interpretazione data a ἴκρια e a σ anche da Keydell 1959, 310 (in app.: “ἴκρια sunt costae navis, quibus ab exteriore parte σταμίνες adfiguntur ita, ut quasi sub illis sint”). Tale interpretazione viene contestata da Peek 1969, 45, ma a torto e per mezzo di argomentazioni deboli: che in Omero σ sia usato in un altro senso non è un argomento cogente, perché Nonno avrebbe potuto facilmente fraintendere il testo omerico e in particolare i suoi termini tecnici; allo stesso modo, spiegare l’aggettivo ὀρθά attribuito a ἴκρια in 36, 404-405 come se si riferisse all’immagine dello scafo che nel suo complesso viene realizzato in verticale pare un’inutile forzatura del testo nonniano.
Simon 1999, 298, seguita da Frangoulis, Gerlaud 2006, 90, inverte i due sensi di ἴκρια e di σ: i primi sarebbero le assi che compongono il fasciame dello scafo, mentre i secondi i montanti verticali (coste) incrociati perpendicolarmente agli ἴκρια. Che i due elementi di cui qui si sta parlando vengano intrecciati gli uni perpendicolarmente agli altri è chiaramente indicato dall’impiego del verbo ὑφαίνω in 36, 405; tuttavia, è impossibile che le assi, ossia ἴκρια secondo Simon, vengano inchiodate sotto le coste, σ, perché la tecnica di costruzione delle imbarcazioni in uso nel mondo greco-romano (per cui cfr. Casson 1971, 201-216) prevedeva l’esatto contrario: per dare un senso al testo di Nonno occorrerà quindi intendere ἴκρια nel senso di coste e σ nel senso di assi del fasciame dello scafo.
[5] Questa è l’opinione ragionevole di tutta la critica: così Casson 1971, 217 n.1, Kurt 1979, 126, Schironi 2004, 485.
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