diekpleō (διεκπλέω), diekploos/diekplous (διέκπλοος, contr. διέκπλους, ὁ)
Il verbo δ (ion. διεκπλώω), da cui deriva il sostantivo διέκπλοος (contr. διέκπλους), è composto dal verbo → πλέω («navigare») unito ai due preverbi διά- («attraverso») e ἐκ («fuori da», «da»).
Per il verbo δ si riscontra una sola attestazione lessicografica nel Lessico Suda (Suid. Π 1253 s.v. Περιπλεῖν): Περιπλεῖν καὶ διεκπλεῖν διαφέρει παρὰ Θουκυδίδῃ· τὸ μὲν γὰρ περιπλεῖν ἐν τῇ εὐρυχωρία καθίστασθαι, οἷον χορευούσης καὶ ἀναστρεφομένης ἐφ’ ὅπερ βούλεται τῆς νεώς. καὶ ἡ περι πρόθεσις αὐτὸ τοῦτο δηλοῖ, τὸ ἐν κύκλῳ περιθέειν. τὸ δὲ διεκπλεῖν, τὸ τεμόντα τὴν τάξιν τῶν ἐναντίων εἰς τοὐπίσω γενέσθαι.
Sempre nella Suda e poi nello Pseudo-Zonara si trova la definizione di διέκπλοος (Suid. Δ910 s.v. Διέκπλοι, cfr. Ps.-Zonar. p. 517 s.v. Διέκπλοι; il riferimento è a Thuc. 2 89.8, per cui si veda infra lo scolio ad locum): Διέκπλοι· τὸ ἐμβάλλειν καὶ διασχίζειν τὴν τῶν ἐναντίων τάξιν καὶ πάλιν ὑποστρέφειν καὶ αὖθις ἐμβάλλειν.
a. Il primo significato del verbo δ è, in senso generico, «passare (navigando) attraverso», per esempio, un mare (τὸν Ἑλλήσποντον Hdt. 7 147.2) o un arcipelago (τὰς Κυανέας Hdt. 4 89.2). In tale accezione è attestato in numerosi passi di Erodoto (4 42.2; 4 43.4, 7.122), in Str. 1 2.31 p. 39c, Arr. Ind. 22.6; D.S. 11.13. Il verbo δ è anche usato rispetto a punti riferimento a terra («doppiare qcs.»), vd. Arr. Ind. 21.10 (διεκπλώσαντες δὲ ταύτην [scil. νῆσον] ὁρμίζονται ἐν λιμένι κτλ.). Anche in relazione alle distanze da percorrere in Hdt. 2 29.3 (σχοῖνοι δὲ δυώδεκά εἰσι οὗτοι τοὺς δεῖ τούτῳ τῷ τρόπῳ διεκπλῶσαι). Il sostantivo διέκπλοος, nella sua accezione generica, indica prevalentemente un passaggio o uscita navigabile: in questo senso vd. Hdt. 4 179.3 (dove il termine è usato come variazione rispetto a πόρος), Hdt. 7 36.2, Plat. Criti. 115e, Str. 1 2.10, D.S. 13.47, Plut. Nic. 24.3 (ἀπέκλεισαν τὸν διέκπλουν τοῦ λιμένος), Hld. 1 6.2. Talvolta ha anche il significato di «attraversata» (Hld. 1 27.3).
b.1. Nel suo secondo significato, tecnico del lessico della guerra navale, il verbo δ (così come il sostantivo διέκπλοος) indica una particolare manovra che consiste nello sfondamento del fronte delle navi nemiche, con lo scopo di aggirarle e coglierle alle spalle. In particolare, ogni nave sarebbe dovuta passare nello spazio che vi era tra due imbarcazioni della schiera opposta, e, una volta superata la linea nemica, avrebbe virato rapidamente (manovra nota come ἀναστροφή) per scagliarsi contro la poppa o il fianco di una nave avversaria (Hdt. 6 15.2; Thuc. 1 50.1, 7 36.4; Sosyl.p. 31b = FGrHist 176 F1; Plb. 1 51.9, 16 3.10; App. BC 4.71, ibid. 5.119). Difficile da stabilire il valore in Plut. Arist. 8.2, dove il verbo il verbo δ indica effettivamente il passaggio attraverso una schiera di navi nemiche, ma non è riferito in maniera propria al contesto di uno scontro (Aristide ritorna da Egina passando attraverso il cordone di accerchiamento persiano). Per il sostantivo διέκπλοος vd. Hdt. 6 12.1, 8 9; Thuc. 1 49.3, 7 36.4; Xen. Hell. 1 6.31 (per questi tre passi si veda anche infra, b.2.); Plb. 16 3.14; Dio 49 3.2. La rapidità di manovra era necessaria a trarre vantaggio da questo tipo di attacco, che perciò fu spesso considerato tattica propria delle flotte più agili ed esperte – come, stando a Tucidide, avrebbe sottolineato Formione in vista della seconda battaglia del Golfo di Corinto (Thuc. 2 89.8 νεῶν ἄμεινον πλεουσῶν ἔργα ἐστίν; cfr. anche Thuc. 1 49.1-3, Xen. Hell. 1 6.31 ὡς πρὸς διέκπλουν […] παρεσκευασμέναι [scil. le navi dei Lacedemoni], διὰ τὸ βέλτιον πλεῖν, Plb. 1 51.9, Dio 49 3.2).
La posizione di partenza della flotta doveva essere con le navi disposte in riga, una a fianco all’altra (Lazenby, 1987; Casson, 1991; De Souza, 1996; Hölkeskamp, 1997). Secondo Morrison, al contrario, le navi sarebbero partite da uno schieramento in fila (Morrison, 1974; Morrison, 1991), ma, se così fosse, apparirebbe più difficile intuire lo scopo delle manovre difensive che consistevano nello schieramento della flotta su più file (FGrHist 176 F1, Xen. Hell. 1 6 31) o nell’inframmezzare navi leggere a quelle catafratte (Plb. 16 4.8-10), per cui si veda infra b.2.
Sembra che il διέκπλους sia una tattica originariamente fenicia (Cawkwell, 2005, pp. 222-223), come rivendica Sosilo di Sparta (FGrHist 176 F1; particolarmente autorevole in quanto precettore di Annibale, secondo Cawkwell, 2005), poi sfruttata dalla flotta del Gran Re nel corso della Seconda guerra Persiana. L’esercito greco si aspettava che sarebbe stata messa in atto all’Artemisio nel 480 a.C. (Hdt. 8.9; Cawkwell, 2005, p. 222), come risulta anche dal testo di Sosilo (FGrHist 176 F1; Wilcken, 1906) – sebbene si sia dubitato, probabilmente a torto (Schepens, 2004), che si tratti del medesimo Artemisio (due sono le principali identificazioni alternative, la prima proposta da Rühl, 1906, contestata già nel 1907 da Wilcken, e la seconda, indipendentemente, da Munro, 1939 e Mazzarino, 1947, pp. 8-10; quest’ultima ha avuto un notevole seguito, per cui si rinvia alla bibliografia menzionata da Schepens, 2004, cui si può aggiungere Burn, 1984, pp. 158-159).
Secondo Morrison (Morrison, 1991), il διέκπλους sarebbe stato impiegato dalla stessa flotta greca a Salamina. A tal proposito, piuttosto che sul resoconto erodoteo (Hdt. 8 83.2-85.1), riflesso del punto di vista dell’esercito persiano colto di sorpresa, converrebbe fare affidamento sulla descrizione di Eschilo, consapevole della tattica adottata (A. Pers. 408-420).
Il διέκπλους compare tendenzialmente associato alla tattica dello speronamento (→ ἐμβολή), che sarebbe stato di norma (Lazenby, 1987; Hölkeskamp, 1997; Asheri, Corcella, & Fraschetti, 2003, p. 201) lo scopo principale dello sfondamento (vd. anche la definizione di Σ ad Thuc. 2 89.8 c: διέκπλοι· τὸ ἐμβάλλειν καὶ διασχίζειν τὴν τῶν ἐναντίων τάξιν; analogamente Suda s.v. διέκπλοι (Δ 910)). Secondo Mark (Mark, 2008), tuttavia, queste due tattiche, almeno in un primo momento, dovettero essere ben distinte una dall’altra (vd. Plut. Alc. 28.8, per un διέκπλους che non si risolve in speronamento ancora nel 410 a.C., oppure App. BC 5 119, in cui lo speronamento è ostacolato però dalle condizioni del luogo dello scontro). Così si spiegherebbe perché gli Etruschi uniti ai Cartaginesi, maestri del διέκπλους, abbiano avuto la peggio contro un drappello di Focesi nel 535 a.C., presso Alalia (Hdt. 1 166.1-2): questo scontro potrebbe essere una delle prime attestazioni di speronamento (da parte della flotta focese), mentre i Cartaginesi ancora fidavano sul διέκπλους forse solo per l’abbordaggio (Mark, 2008). In tal senso si potrebbe comprendere anche la necessità di armare gli epibati, evidentemente in previsione di scontri corpo a corpo, da parte di Dionisio di Focea, il quale, prima dello scontro che poi si svolse a Lade (494 a.C.), addestrava la flotta ionica al διέκπλους (Hdt. 6 12.1, 6 15.2). Sebbene, come nota Cawkwell (Cawkwell, 2005), Erodoto ponga particolare enfasi sulla cattura di navi greche da parte della flotta persiana (Hdt. 7 180-182), si sa di speronamenti di quest’ultima ai danni di quella greca nel corso della battaglia di Salamina, quindi non è chiaro quando le due tattiche del διέκπλους e dello speronamento siano state eventualmente associate (in Hdt. 8 87.2-4 si legge di una nave caria, al comando della sovrana Artemisia, che colpisce e affonda, in greco ἐνέβαλέ τε καὶ κατέδυσε, una nave di Calinda, città peraltro appartenente allo stesso regno di Caria). Oltretutto, la cattura di navi non esclude che queste siano state prima colpite con lo sperone, come credeva Cawkwell (Cawkwell, 2005), perché si sa che, seppur ingovernabili, le navi speronate potevano essere rimorchiate (Thuc. 2 90.5-6; Casson, 1991).
Alla tattica del διέκπλους talora si associa la pratica, attestata con sicurezza a partire dalla media-tarda età ellenistica, di tranciare i remi della nave avversaria (παρασύρειν/παραλύειν τοῦς ταρσούς, vd. → παρασύρω; Lazenby, 1987 e Casson, 1991). L’assenza di riscontro nei resoconti di Erodoto, Tucidide e Senofonte porta infatti a dubitare della testimonianza di Diodoro, secondo cui tale potenzialità sarebbe stata sfruttata già dagli Ateniesi a Salamina nel 480 (Diod. 11 18.16; Erodoto non ne parla, e poco probante è il riferimento di Eschilo ai frammenti di remi in Pers. 425), dai Siracusani nel Porto Grande di Siracusa nel 413 (Diod. 13 16.5; confrontando con Tucidide emerge che ciò che colpivano i Siracusani non erano i remi, bensì la parte della nave dove i remi non c’erano: Thuc. 7 36.3 e, specialmente, Thuc. 7 40.5 τῶν ἐμβόλων τῇ παρασκευῇ ἀνερρήγνυσαν τὰς τῶν ᾿Αθηναίων ναῦς ἐπὶ πολὺ τῆς παρεξειρεσίας); da Conone a Mitilene nel 406 e poco dopo da Callicratida alle Arginuse (Diod. 13 78.1, 99.3; entrambe le menzioni sono prive di riscontro in Xen. Hell. 1.6.16-17, 29-33). Di conseguenza si potrebbe dubitare anche del ricorso alla rottura dei remi avversari da parte di Nicanore nel 318, a largo di Calcedonia (Diod. 18.72.8; cfr. Polyaen. 4.6.8). Per la battaglia di Salamina di Cipro, del 306, Diodoro dice di far affidamento sull’opera storiografica del macedone Marsia, che sarebbe stato presente allo scontro: effettivamente la narrazione risulta più dettagliata rispetto alle altre già menzionate, quindi qui potrebbe avere un altro peso la sua testimonianza (Diod. 20 51.3) – sebbene i casi precedenti, insieme alla versione non esattamente combaciante di Polieno (Polyaen. 4 7.7), raccomandino un certo scetticismo. Meno problematiche le fonti, come si diceva inizialmente, per l’età media e tardo ellenistica, per cui i riferimenti a παρασύρειν/παρασύρειν τοῦς ταρσούς (remos detergere/defringere in latino) compaiono continuativamente e in fonti non eccessivamente lontane dagli avvenimenti narrati, come a proposito della battaglia di Chio del 201 tra le flotte di Filippo contro Rodi e i suoi alleati (Plb. 16 4.5, 14,), o addirittura contemporanee (Caes. BC 1 58.1, B.Alex. 15.6); a ciò si aggiungono riferimenti di altri autori come Livio (Liv. 28 30.11, 36 44.6, 37 24.2) e Cassio Dione (Dio 50 32.8).
b.2. Per contrastare il διέκπλους, una possibile contromossa era schierare la flotta, preferibilmente approfittando di uno spazio stretto, in modo tale da non offrire margine di manovra (Thuc. 1 49.3, 7 36.4). In alternativa, era possibile schierare la flotta su due file, come avrebbe fatto, secondo Sosilo, Eraclide di Milasa (FGrHist 176 F1), oppure alla maniera in cui si disposero gli Ateniesi alle Arginuse (Xen. Hell. 1 6.29-31). Simile è l’idea di alternare i λέμβοι (più leggeri e agili; vd. → λέμβος) alle navi catafratte, ciò che fecero i Macedoni per la battaglia di Chio del 201 a.C. (Plb. 16 4.8-10).
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