hormos (ὅρμος, ὁ)

Autore Anna Magnetto
Traduzione ormeggio, approdo, attracco, porto.
Termini trattati nella voce

ἄνορμος, δύσορμος, εὔορμος, ἔξορμος, ἔφορμος, πάνορμος, πρόσορμος, ὕφορμος, ἐνορμίτης.

Etimologia

Diverse proposte sono state avanzate per l’etimologia del termine. Una (ritenuta poco plausibile da Chantraine, DELG, II, 822) lo ricollega ad ὁρμή inteso rispettivamente come «punto di partenza» (Fick 1894, 242); «luogo dove la nave può ondeggiare all’ancora», connesso al sanscrito sàrma- «onda, flutto» (Wood 1908, 77); «luogo dove si getta l’ancora (Bolelli 1950, 104). Boisacq, DELG, 714 suggerisce una derivazione da εἴρω nel senso di «legare, fissare» (cfr. Hom., Il., 1, 435); nella stessa direzione vanno le proposte di Frisk, GEW, II, 420-421, secondo cui o inteso come «ancoraggio» potrebbe costituire una metonimia da ὅρμος «catena dell’ancora» (cfr. AP, 9, 296; dubbioso Chantraine, ibid.); l’ipotesi alternativa è un collegamento col termine, ancora non spiegato, ἔρμα: se il suo significato originario era «pietra» il passaggio si spiegherebbe facilmente con l’uso di massi come primo strumento di ancoraggio per le navi.

Termini linguisticamente connessi

Composti di o sono i sostantivi → ὁρμοφύλαξ «guardia marittima» e ὀρμοφυλακία «carica ricoperta dall’ ὁρμοφύλαξ», attestati nei papiri; gli aggettivi ἄνορμος «privo di attracco»; δύσορμος «dall’attracco difficile»; εὔορμος «con buoni punti di approdo» e «ben ancorato»; πάνορμος «favorevole all’approdo»; nonché i composti con i preverbi: ἔξορμος «che lascia l’ormeggio»; ἔφορμος «che sta all’ancora»; πρόσορμος «ormeggio»; ὕφορμος «ancoraggio» e anche «adatto all’ormeggio», «che sta all’ancora». Da o derivano ἐνορμίτης «in porto, portuale» e i verbi denominativi →ὁρμέω «stare all’ancora» e ὁρμίζω «condurre in porto, all’ancora, ormeggiare». Nella documentazione papirologica latina è attestato il prestito hormus (CPL 106, r IIb, l. 3 ad hormos confodiendo[s).

Attestazioni lessicografiche

Ammon., Diff., 353, s.v. ὄλμος ὅρμου διαφέρει. (…), ὅρμος δέ ἐστι λιμήν (et. Gud., o425, s.v. ὄλμος ὅρμου διαφέρει; Orion, o114 Sturz, s.v. ο: παρὰ τὸ ἔρμα τὸ ἀσφάλισμα. ὅθεν καὶ ὁρμῆσαι, τὸ ἐν ἀσφαλῆ εἶναι τὴν ναῦν (cfr. em 631 e Zonar., o1462, entrambi s.v. ο); Hsch., o1260, s.v. o: λιμήν (cfr. π989, s.v.παρ᾽ ὅρμον; Phot., ο348 Theodoridis e Suid., ο605, entrambi s.v. o; Zonar., o1462, s.v. o); et. Gud., ο434, s.v. o, σημαίνει δύο, τὸν λιμένα καὶ τὸ ἀσφάλισμα; ο435, s.v. o, παρὰ τὸ εἴρω τὸ συμπλέκω ἢ φυλάσσω· ἐξ οὗ καὶ εἱρμὸς γίνεται ὅρμος, ὁ λιμὴν, καὶ γὰρ κυκλοειδής ἐστι e poco oltre o, ὁ λιμὴν παρὰ τὸ ὁρμᾶν, καὶ ἵστασθαι ἐν αὐτῷ τὰς ναῦςo; cfr. ο435, s.v. ὁρμῶ, ἔρχομαι· (…) σημαίνει δὲ δύο· τὸν τοῦ λιμένος ὅρμον καὶ κόσμον περιτραχήλιον.

Toponimi e culti

Toponimi che rivelano il legame del sito con la presenza di un approdo (o di un porto) sono Πάνορμος, che denomina più di una ventina di siti fra poleis vere e proprie, porti, semplici approdi, golfi dalla Sicilia, all’Adriatico, al Mediterraneo Orientale (cfr. Barrington Atlas, Gazetteer s.v. Pan(h)ormus e Panormos); Μυὸς Ὅρμος, il grande emporio sul Mar Rosso (Calderini, Diz. geogr., III, 304-305; Suppl. 2, 127; Suppl. 3, 76); Βερενίκης ὅρμος (ibid., II, 41; Suppl. 1, 79; 3 26); Ὅρμος, villaggio portuale, scalo di Ἡρακλέους πόλις nell’Eracleopolite (ibid., II, 222; III, 395; Suppl. 3, 115); Πτολεμαὶς Ὅρμου villaggio portuale nell’Arsinoite (ibid., IV, 212-214; Suppl. 1, 231; 2, 179; Suppl. 3, 132).

Legato alla sfera del culto appare il raro aggettivo ἐνορμίτας. Di uso poetico, si incontra solo in due epigrammi dell’Antologia Palatina (10, 2 di Antipatro di Sidone, e 10, 14 di Agatia) sempre in riferimento a Priapo, divinità dei porti o degli approdi.

Trattazione:

a. Le prime attestazioni del terminesono conservate nell’epos omerico, dove o è impiegato per indicare il luogo all’interno del porto (→ λιμήν) dove la nave è condotta a stazionare, «l’ormeggio». In Il., 1, 432-436 vengono descritte le operazioni condotte da Odisseo e dal suo equipaggio una volta giunti nel porto di Crisa: οἱ δ᾽ ὅτε δὴ λιμένος πολυβενθέος ἐντὸς ἵκοντο, | ἱστία μὲν στείλαντο, θέσαν δ᾽ ἐν νηῒ μελαίνῃ, ἱστὸν δ᾽ ἱστοδόκῃ πέλασαν προτόνοισιν ὑφέντες | καρπαλίμως, τὴν δ᾽ εἰς ὅρμον προέρεσσαν ἐρετμοῖς.| ἐκ δ᾽ εὐνὰς ἔβαλον, κατὰ δὲ πρυμνήσι᾽ ἔδησαν, κτλ., «essi dunque giunsero al porto acqua profonda, raccolsero le vele, le deposero nella nave nera, l’albero spinsero al suo cavalletto, allentando i cavi in fretta, e verso l’ormeggio avanzarono a forza di remi; fuori gettaron le pietre forate e legarono il cavo di poppa» (Calzecchi Onesti 1963). In Od., 13, 96-101 si parla del porto (λιμήν*) di Itaca, chiuso da due punte che lo proteggono dai venti e dalle onde, mentre all’interno ἄνευ δεσμοῖο μένουσι | νῆες ἐΰσσελμοι ὅτ᾽ ἂν ὅρμου μέτρον κτλ. «senza cavo di attracco rimangono le navi dai buoni scalmi, una volta che siano giunte all’ormeggio» (per il valore del nesso ὅρμου μέτρον vd. già l’indicazione dello scolio a 13, 101 ὅρμου μέτρον] ὅταν πρὸς τὸ ὁρμισθῆναι ἀφίκονται. τὸ μέτρον, ἢ τὸ πλῆρες τῆς καταγωγῆς; cfr. Heubeck – Hoekstra 1989, ad loc.). Una condizione analogamente favorevole, che consente alla nave di stazionare all’ormeggio senza bisogno di ricorrere all’ancora o a cavi di attracco, è offerta dal porto dell’isola dei Ciclopi, definito εὔορμος e descritto in Od. 9, 136-139 (ἐν δὲ λιμὴν ἐύορμος, ἵν᾽ οὐ χρεὼ πείσματός ἐστιν, | οὔτ᾽ εὐνὰς βαλέειν οὔτε πρυμνήσι᾽ ἀνάψαι, | ἀλλ᾽ ἐπικέλσαντας μεῖναι χρόνον εἰς ὅ κε ναυτέων | θυμὸς ἐποτρύνῃ καὶ ἐπιπνεύσωσιν ἀῆται; «C’è un porto comodo, dove non c’è bisogno di fune, o di gettar l’ancora o di legare le gòmene, ma basta approdare e restare a piacere, fino a che l’animo dei marinai non fa fretta o non spirino i venti».

Con questo valore o continua ad essere impiegato sia nella successiva tradizione poetica, sia in prosa. Esempi sono offerti da Aesch., suppl., 765 e 772; A.R., 1, 987; Lyc., 737 a cui Tz. chiosa: ὅρμων Μισηνοῦ· Μισηνὸς δὲ ὅρμος λέγεται ὁ λιμήν· λιμὴν γὰρ λέγεται τὸ ὅλον πλάτος καὶ ὁ κόλπος, ὅπου αταίροθσιν αἱ ὁλκάδες, ὅρμος δὲ ἡ στάσις μιᾶς ἕκάστης ὁλκάδος. Fra gli storici Tucidide lo impiega a proposito delle navi da guerra ateniesi nel porto di Siracusa (7, 41, 1); Arriano nel descrivere il porto fatto scavare da Alessandro a Babilonia (Anab., 7, 19, 4 λιμένα τε ὅτι πρὸς Βαβυλῶνι ἐποίει ὀρυκτὸν ὅσον χιλίαις ναυσὶ μακραῖς ὅρμον εἶναι καὶ νεωσοίκους ἐπὶ τοῦ λιμένος). Il geografo Strabone ricorda i «bacini di ormeggio» costruiti dall’uomo nel porto commerciale di Dicearchia, in grado di ospitare grandi navi da carico (5, 4, 6 245C ἡ δὲ πόλις ἐμπόριον γεγένηται μέγιστον, χειροποιήτους ἔχουσα ὅρμους).

Alcuni documenti di carattere pubblico confermano l’uso tecnico del termine in ambito ufficiale e in riferimento a una precisa struttura del porto. Due horoi attici, rinvenuti nelle acque del Kantharos e datati alla metà del V sec., segnavano con la loro posizione i limiti della zona riservata all’approdo delle navi da carico e dei traghetti e indicano che il grande emporion del Pireo era delimitato a Nord e ad Est, dalla parte del mare, da una banchina che serviva all’attracco delle imbarcazioni (IG I3 1104 a-b πορθμέιον hόρμο hόρος; cfr. Lenschau 1937, 94; Panagos 1997, 216-217; Garland 1987, 140, 152, 225 nn. 6-7; von Eickstedt 1991, 64 e nota 268). Un altro horos riferito allo stesso periodo e rinvenuto ancora in situ nell’area sud-occidentale del porto di Zea, la baia del Pireo che in età classica ed ellenistica svolgeva funzioni di porto militare, reca la scritta [h]όρμο δ[ε]μοσίο hόρος (IG I3 1103). Poiché nelle fonti antiche non viene mai testimoniata una funzione commerciale di Zea, si ritiene che questa rada fosse riservata alle esigenze della flotta ateniese e che l’aggettivo δημόσιος, che qualifica l’area di ormeggio, ne sottolineasse l’appartenenza alla città e la specificità dell’uso (von Eisckstedt 1991, 72 e nota 326; Panagos 1997, 238 e nota 2). La prassi di delimitare le diverse aree del porto riservate all’attracco delle navi era diffusa nel mondo greco, come conferma un horos analogo, proveniente dal porto di Delo, che conserva la scritta: ὅρος ὅρμου μακρῶν π[λοίων (ID 2556; cfr. Duchêne – Fraisse 2001, 153 sg.). Infine in un decreto tolemaico del 118 a.C., contenente disposizioni di carattere fiscale, si stabilisce: μηδὲ ἐπιλαμβάνεσθ̣α̣ι̣, ἐὰν μὴ ἐπὶ τῶν κατ᾽ Ἁλεξά(νδρειαν) ὅρ[μων | ἔ]π̣ὶ̣ τῆς ἐξαιρέ<σε>ως εὐ̣ρ̣ί̣[σκ]ηι τι τῶν μὴ τετελωνημ̣έ̣ν[ων] | ἢ̣ τῶν ἀπορρήτων (P.Tebt 5, 25-27) dove o è comunemente inteso come le banchine del porto di Alessandria, a cui erano ormeggiate le navi e sulle quali venivano scaricate le merci (cfr. Wilcken 1912, n. 260; Lehmann-Hartleben 1923, 44 nota 1; Bagnall – Derow 2004, n. 54).

b. Più spesso, tuttavia, il termine indica semplicemente l’«ormeggio», anche al di fuori di una struttura portuale. Così lo impiega Hdt., 7, 188, 3 in riferimento a navi che subito prima descrive come ormeggiate in parte contro la terraferma (πρὸς γῇ), in parte sulle ancore (ἐπ᾽ ἀγκυρέων; cfr. anche 8, 18), mentre in 7, 193 utilizza l’espressione ὄρμον (…) ποιεῖσθαι come equivalente di ὁρμίζεσθαι (cfr. Philostr., vA, 4, 13; cfr. Theocr., 13, 30 ὅρμον ἐθέντο). Con lo stesso valore ritorna in Thuc. 4, 26, 3, dove, parlando delle navi che assediano Sfacteria, lo storico lamenta l’assenza di un ormeggio e la necessità di ancorare al largo e in Polyb. 1, 59, 9, che menziona τὸν περὶ τὰ Δρέπανα λιμένα (…) καὶ τοὺς περὶ τὸ Λιλύβαιον ὅρμους.

La distinzione nell’uso dei termini λιμήν* e o presente in Polibio acquista particolare significato nelle opere di argomento geografico e nei peripli. Qui o è impiegato per indicare luoghi costieri adatti all’ormeggio delle navi eplicitamente distinti dai veri e propri porti — per cui si utilizza il termine λιμήν * — per caratteristiche naturali, strutture presenti, numero e tipo di imbarcazioni che sono in grado di accogliere (cfr. Poccetti 1996, 43; Giardino 1999). Così ad es. Strab., 4, 6, 2 202C scrive: ὅλως δὲ ἡ παραλία αὕτη πᾶσα μέχρι Τυρρηνίας ἐκ Μονοίκου λιμένος προσεχής τέ ἐστι καὶ ἀλίμενος πλὴν βραχέων ὅρμων καὶ ἀγκυροβολίων, descrivedo una costa priva di porti con solo stretti punti di approdo e di ancoraggio e Arr., perip. m. eux., 16, 6 a proposito di Trapezunte annota ἐνταῦθα συ (l’imperatore Adriano cui è dedicata l’operetta) ποιεῖς λιμένα· πάλαι γὰρ, ὅσον αποσαλεύειν ὥρᾳ ἔτους, ὅρμος ἦν. Non è raro che l’indicazione di questi approdi sia accompagnata da precisazioni sulle loro caratteristiche, quali, ad es. ναθσὶ μικραῖς (Arr., perip. m. eux., 12, 3; 13, 1); ἀσφαλής/οὐκ ἀσφαλής (ibid., 14, 3 e 4); καλός (Stad., 32).

c. Al di fuori delle opere di carattere più tecnico tale distinzione terminologica non trova tuttavia un impiego sistematico e, al contrario, può scomparire del tutto là dove o acquista il significato generico di «porto», in alternativa a λιμή*. È quanto accade, ad es., in Polyb., 16, 5, 11 ἀπέπλει εἰς τοὺς κατὰ τὴν Ἀσίαν ὅρμους; in Dionys.Per., 1, 75 γαῖα Μασσαλίη τετάνυσται, ἐπίστροφον ὅρμον ἔχουσα (cfr. 1, 195 in riferimento a Cartagine); in Paus., 4, 36, 6 (τοῦ λιμένος δὲ – si intende il porto di Pilo –  ἡ Σφακτηρία νῆσος προβέβληται, καθάπερ τοῦ ὅρμου τοῦ Δηλίων ἡ Ῥήνεια); cfr. 6, 19, 9 a proposito del porto di Sibari fatto costruire da Adriano); in Joseph., BJ, 2, 16 385, che lo impiega per qualificare l’intera Arabia Felix come «porto dell’India» (ἥτις – s’intende l’Egitto – ἔκτεινομένη μέχρις Αἰθιόπων καὶ τῆς εὐδαίμονος Ἀραβίας ὅρμος τε οὖσα τῆς Ἰνδικῆς); per giungere ai lessici, in cui «porto» figura come unico significato. Comune è l’impiego di o con questo valore nella documentazione papiracea, (cfr., a titolo indicativo, i casi ricordati da Preisigke, WB, s.v. o).

Dai significati di «approdo» o di «porto» si sviluppano gli usi traslati del termine, attestati per lo più in contesti poetici, filosofici o commemorativi; cfr. ad es. Diog. Laert., 4, 48 che ricorda la sentenza di Bione: τὸ γῆρας ἔλεγεν ὅρμον εἶναι τῶν κακῶν (cfr. Favorin., fr. 11 Barigazzi); AP, 7, 388 (epigramma funerario di Bianore) ὅμος ἐλευθερίης; IG II/III2 6214 (stele funeraria databile al IV sec.) β[ίου] | πλεύσαντα πρὸς ὅρμον.

d. Tra i significati d’uso meno frequente si segnala quello di «cavo di ormeggio» con cui o è impiegato in AP, 9, 296 (attribuito ad Apollonide): καὶ τὸν ἀπ᾽ ἀγκύρης ὅρμον ἔκειρε νεῶνin relazione all’impresa di un certo Skyllos, che avrebbe tagliato i cavi d’ormeggio delle navi di Serse contribuendo alla loro distruzione (su di lui cfr. anche Hdt., 8, 8 che però in 7, 188 attribuisce il naufragio ad una tempesta; secondo Paus., 10, 19, 1-2 Skyllis e la figlia completarono, con la loro azione subacquea, l’opera della tempesta e meritarono così una statua dedicata dagli Anfizioni a Delfi).

e. Derivati:

ἄνορμος, ον: impiegato da Soph., OT, 423 (ὅταν καταίσθῃ τὸν ὑμέναιον ὃν δόμοις ἄνορμον εἰσέπλευσας εὐπλοίας τυχών) in un contesto che fa un uso metaforico del lessico marino, qualifica come «privo di approdo» il matrimonio incestuoso di Edipo, adombrato nell’immagine di un viaggio che si esaurisce in un porto impraticabile (cfr. schol. Man. Mosch. ad loc. (p. 31 Longo), ἄνορμον εἰσέπλευσας] κακολίμενον ἐνελιμένισας; cfr. schol. Thom. Mag. ad loc. (p. 202 Longo), ἄνορμον] κακελλιμένιστον ὃν οὐδεὶς ὥρμισεν; per un’ampia discussione sui vv. 420-25 vd. Bollack 1990, 263-269). Con lo stesso significato ricorre in Suda., λ 599 s.v. Λισσάδας πέτρας· λείας καὶ ὁμαλὰς. τοῖς δὲ Σκύθαις πρὸς τὰς Ῥωμαϊκὰς ναῦς ὥσπερ ἀνόρμους καὶ λισσάδας πέτρας ἐζεβιάζετο τὰ σκάφη.

δύσορμος, ον: si incontra per la prima volta in Aesch., Pers., 448, dove qualifica la piccola isola di Psittalea, davanti a Salamina, come δύσορμος ναυσίν «dal difficile approdo, priva di approdi per le navi» (cfr. Demetrio Triclinio in Aesch. Pers. 448b Massa Positano, δύσορμος] δυσλίμενος; con lo stesso valore Plut., Fab., 6, 3 177d lo impiega per definire una spiaggia costiera (αἰγιαλὸν κυματώδη καὶ δύσορμον; cfr. Lys., 10, 5 438d; Peripl. M. Rubr., 10, 3); ma l’aggettivo si applica anche a tratti di costa aspri e scoscesi e quindi ugualmente inadatti all’ormeggio, cfr. App., B. Civ., 5, 88 (περὶ τραχεῖαν ἀκτὴν καὶ δύσορμον); Perip. M. Rubr., 43, 9 (δύσορμος οὖσα διά τε τὸν ῥοῦν τὸν περὶ αὐτὴν καὶ διὰ τὸ ἀποκόπτειν τὰς ἀγκύρας τραχὺν ὄντα καὶ πετρώδη τὸν βυθόν). Con valore attivo, «che obbliga ad una sosta forzata, a restare all’ormeggio» è usato invece da Aesch., Ag., 193 (πνοαὶ δ᾽ ἀπὸ Στρύμονος μολοῦσαι κακόσχολοι, νήστιδες, δύσορμοι), in riferimento ai venti provenienti dallo Strimone che impedivano alle navi achee di salpare.

ἔξορμος, ον: l’aggettivo si incontra una sola volta in età classica, in Eur., Hipp., 156, dove ha il valore di «che è salpato, che ha preso il largo», con funzioni di agg. verbale del verbo ἐξορμέω (vd. ὁρμέω).

ἐνορμίτας: v. Toponimi e culti.

εὔορμος, ον: attestato a partire dall’epos omerico come attributo di λιμήν* (Il., 21, 23; Od., 4, 358; 9, 136), lo qualifica come «dal buon approdo» e quindi «sicuro» (cfr. schol. D? [in ed. Laskaris, non tamen van Thiel Il. 21, 23 εὐόρμου] καλοὺς ὅρμους ἔχοντος e schol. V Od., 4, 358 εὔορμος] εὐκαθόρμιστος). A fianco a quest’uso prevalente, l’aggettivo si trova in seguito impiegato, con analogo valore, in riferimento ad αἰγιαλός (Polyaen., excerpta, 57, 15), γῆ (Soph., Phil., 221 οὔτ᾽ εὔορμον οὔτ᾽ οἰκουμένην), ἐμπόριον (Peripl. M. Rubr., 24, a proposito dell’emporio di Mouza, definito ἀλίμενον μὲν εὔσαλον δὲ καὶ εὔορμον διὰ τὰ περὶ αὐτὴν ἀμμόγεια ἀγκυροβόλια), θάλαττα (Luc., gall., 24); θίς (Polyaen., strat., 4, 7, 7), νῆσος (Athen., 9, 47); referito a ναῦς in AP, 10, 4., vale «ben ancorate».

ἔφορμος, ον: il sostantivo, di uso molto raro, è attestato con sicurezza solo in tre passi tucididei (per un passo dubbio di Strabone vd. infra, ὕφορμος). In due casi indica il «blocco navale»: in 3, 6, 1 in riferimento alle operazioni ateniesi contro Mitilene (τοὺς ἐφόρμους ἐπ᾽ ἀμφοτέροις τοῖς λιμέσιν ἐποιοῦντο) e in 4, 27, 1 in merito all’impossibilità di attuare il blocco in inverno durante la campagna di Pilo (τόν τε ἔφορμον χωρίων ἀλιμένων ὄντων οὐκ ἐσόμενον; per i due passaggi cfr. Gomme 1956, II, 257 e III, 468). Nel corso del medesimo episodio lo storico ricorda come i Peloponnesiaci furono sorpresi dall’attacco notturno portato dagli Ateniesi a Sfacteria, convinti che le navi nemiche κατὰ τὸ ἔθος ἐς ἔφορμον τῆς νυκτὸς πλεῖν, dove il termine può valere sia «il loro ormeggio», sia, mantenendo un significato più vicino ai precedenti (e a quello del verbo ἐφορμέω), la loro «posizione di guardia». Un hapax è l’aggettivo ἔφορμος impiegato da Thuc., 3, 76, 1 in relazione alle navi peloponnesiache ormeggiate a Cillene dopo la navigazione dalla Ionia. Inteso comunemente come «all’ancora, all’ormeggio», è considerato problematico da Gomme (1956, II, 364-365), secondo cui l’aggettivo dovrebbe mantenere comunque un significato vicino ai precedenti, significato non idoneo alla situazione descritta (una flotta che stava semplicemente attendendo ordini in un porto distante dall’azione).

πάνορμος, α, ον: a dispetto della sua grande fortuna come toponimo (vd. supra punto 3.), come aggettivo p risulta invece di uso estremamente raro. È attestato per la prima volta in Hom., Od., 13, 195 come attributo di λιμήν* (λιμένες τε πάνορμοι), ad indicare porti sempre adatti all’approdo, come spiega Eusth., in Od. 1738, 55-57 (2, 46, 12-14 Stallbaum) πάνορμοι δὲ λιμένες, οἱ ἀγχιβαθεῖς. εἰς οὓς διατοῦντο πᾶσα ναῦς καὶ ἐν παντὶ ἀνέμῳ ὁρμίζεται (cfr. schol. V Od., 13, 195 πάνορμοι] οἱ πᾶσαν ναῦν δεχόμενοι εἰς τὸ ὁρμισθῆναι. εἰσὶ γὰρ λιμένες μὴ ὑποδεχόμενοι μεγάλας ναῦς. ἢ ἐν παντὶ μέρει ὁρμισθῆναι δυνάμενοι καὶ ἰσοβαρεῖς πανταχόθεν. B.Q. σκέπην ἔχοντες παντὸς ἀνέμου P.V.). L’unica altra occorrenza, ancora come attributo di λιμήν*, è in Scyl. 108, riferito ai porti della costa libica.

πρόσορμος, ὁ: di uso assai raro, il sostantivo si incontra per la prima volta in Strabone, dove vale «approdo», «ancoraggio» (14, 1, 19 639C; 3, 8 666C; 5, 3 670C; 6, 3 683C; etc.). Se la distinzione rispetto ai porti veri e propri (λιμήν*) rimane sempre chiara (cfr. ad es. 17, 3, 22 838C o 14, 5, 3 670C), più difficile è precisare un’eventuale differenza fra i luoghi che il geografo indica come provsormoi piuttosto che come o (nel significato di «ormeggio, approdo») o ὕφορμοι (in almeno un caso, in 17, 3, 22 838C, ὕφορμος ha un valore sinonimico rispetto a πρόσορμος). Una difficoltà che ben si coglie nell’oscillare delle traduzioni fra «ormeggio (lo stesso valore comunemente attribuito ad o), approdo o ancoraggio» (per quest’ultimo vd. LSJ, s.v.). Oltre ad un’occorrenza in Ptol., geog., 3, 14, 24, p ricorre negli schol. in AR, 301, dove indica «approdi, ormeggi» all’interno di un porto (ἀμφιλαφῆ δὲ τὸν λιμένα είρηκεν τὸν ἀμφοτέρω;εν πρόσορμον ἔχοντα).

ὕφορμος, ὁ e ὕφορμος, ον: il sostantivo si incontra per la prima volta in Arist., ha, 542b, 23 con il significato di «approdo, ancoraggio»; con lo stesso valore è impiegato da Scyl., 108 (che non usa mai il sost. o) e da Strabone che in alcuni casi ne precisa la natura: μετρίους (3, 1, 4 138C, dove alcuni codici riportano ἐφόρμους, unica occorrenza nel testo straboniano; ὑφόρμου è correzione di Korais, accolta da Meineke 1852 e riproposta da Radt 2002) θερινόν (8, 4, 5 361C) e, in riferimento alla polis di Lapathos, ὕφορμον ἔχουσα καὶ νεώρια (14, 6, 3 682). Dettagli analoghi sono forniti anche dall’autore dello stad.: θερινός (8; 28 e 40); θερινὸς φορτεγοῖς (41); βάθος φορτεγοῖς (12); πλοίοις μικροῖς (26). L’aggettivo, di uso più raro, ricorre in Strab. 14, 1, 35 645C, in Steph. Byz., s.v. Ψεθδοκοράσιον, in riferimento ad αἰγιαλός, che qualifica come «adatto all’approdo, all’ancoraggio» e s.v. λιμήν, che definisce come ὁ ὕφορμος τόπος. In Ph., in Flaccum, 27, riferito a ναῦς, vale «all’ancora».

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Data inserimento 28/06/2023
DOI 10.25429/sns.it/lettere/lgnn0001
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