protonizō (προτονίζω).
Deverbale dalla radice a grado forte di τείνω (“tendere”), tramite suffissazione in vocale tematica -ο- e aggiunta del prefisso προ-. Il significato letterale è “che viene teso in avanti”, oppure “che crea tensione in avanti”, a seconda che lo si interpreti in senso attivo (Kurt 1979, 164) o passivo (Chantraine 1968, 9; Risch 1974, 201). Può forse essere preferibile un’interpretazione attiva per via della concreta funzione che il π ha nella struttura della nave greca, cioè quella di creare una tensione fra la prua e l’albero, per fornire sostegno a quest’ultimo. Il termine assai probabilmente nasce come aggettivo, così come esplicitamente attestato per il simile ➔ἐπίτονος, per poi sostantivizzarsi a partire da espressioni del tipo *πρότονος ἱμάς, “corda che tira in avanti” (Kurt, ibid.).
Da π deriva il verbo προτονίζω, “far distendere la vela fino agli stralli” oppure “distendere la vela tramite le drizze”, a seconda che π sia inteso in senso proprio o meno. Si veda AP X, 2, probabilmente in senso proprio; Sines. Epist. V, 201-2 = IV, 164c Hercher, ᾠόμεθα προτονίζειν τὴν ναῦν, un’espressione piuttosto oscura, forse frutto di una mancata comprensione del termine nautico da parte dell’autore: cfr. Casson 1971, 277 nota 26 e ibid. 268 nota 1 per la scarsa dimestichezza dimostrata da Sinesio per le questioni marinaresche; Torr 1894, 94, pensa invece a un uso pertinente (“pensavamo di assicurare l’albero per mezzo degli stralli”). Hsch. α 3814 s.v. ἀμπρεύειν glossa il lemma (“trascinare”) anche con προτονίζειν, che parrebbe qui inteso non in senso tecnico ma generico (“tirare”), visto che il sinonimo successivo è ἕλκειν.
π ha un buon numero di attestazioni nella letteratura lessicografica ed erudita. Viene sostanzialmente commentato in modo sistematico quando fa la sua comparsa in testi poetici, a riprova del suo carattere tecnico. Le fonti si possono suddividere in vari filoni. Nel primo abbiamo quelle che si limitano a segnalare che il π è una delle funi della nave: vd. ad es. sHrd. Part. 113 Boissonade πρότονον, τὸ σχοινίον; sch. Od. II, 425b e H 425c2 Dindorf; sch. Opp. Hal. I, 227 e 359 Bussemaker; Et. Magn. 691, 15 Gaisford s.v. πρότονον; Poll. I, 93, 2 ἔστι δὲ ἐν τῇ νηὶ […] πρότονοι. In altri casi viene specificato che il π è legato all’albero, sebbene vi sia qualche oscillazione nell’illustrarne la precisa conformazione, segno che la parola non era compresa in modo chiaro. A volte vi è una confusione con ➔ἐπίτονος, giacché π è indicato pure come il cavo che lega l’albero alla poppa: Hsch. π 4006 s.v. πρότονοι: οἱ ἑκατέρωθεν τοῦ ἱστοῦ σχοῖνοι, ἐκτεταμένοι εἰς τὴν πρώραν καὶ πρύμναν ἔμπροσθεν (cfr. sch. Od. II, 425c1 Dindorf; sch. Ap. Rhod. I, 564-7). Vd. poi Hsch. π 4007 s.v. προτόνοισι: τοῖς τὸν ἱστὸν συνέχουσι σχοινίοις (cfr. sch. M1 Od. II, 425c2; sch. Od. XII, 409; sch. Luc. 21, 47, etc.), ἐξ ἑκατέρου μέρους καὶ τοῖς ἐν τῷ ὑφαντικῷ ἱστῷ. Sch. Hom. Il. I, 434d Erbse è molto generico: πρότονοι δὲ τὰ ἀπὸ πρύμνης εἰς πρῷραν διήκοντα σχοινία (cfr. sch. G Od. II, 425c2 Dindorf; Suid. π 2893 s.v. π; Lex. in carm. Greg. Naz. 295).
La forma neutra del plurale è riportata in Etym. Gud. 483 Sturz s.v. προτόνοισι: οὐδέτερον πληθυντικῶν, τὰ πρότονα, τοῖς προτόνοις καὶ προτόνοισι. Emerge altrove un dibattito già antico sull’esatta funzione del π, che tende spesso a essere confuso con le drizze, cioè le funi impiegate per ammainare o spiegare le vele, oppure con altre manovre della vela (come risulta chiaro anche dai testi letterari dall’età imperiale in poi, vd. infra): Eust. ad Il. I, 434 πρότονα δὲ κατά τινας μὲν σχοινία, δι’ ὧν τὰ ἱστία πῇ μὲν ἀνέλκονται, πῇ δὲ χαλῶνται, μάλιστα δὲ τὰ συνδέοντα τὸ κέρας πρὸς τὸν ἱστόν, ὥς φασιν οἱ εἰδότες. φυλάσσεται γὰρ ἡ λέξις ἔτι καὶ νῦν παρὰ τοῖς Ἀνατολικοῖς. εὕρηται δὲ καὶ ἀρσενικῶς ὁ πρότονος: “secondo alcuni i protona sono le corde tramite le quali le vele in qualche modo vengono ammainate, in qualche altro modo spiegate, ma soprattutto sono le corde che collegano il pennone all’albero, come dicono i sapienti. Il termine si conserva ancora oggi presso gli orientali. Si trova anche al maschile: il protonos” (cfr. Tzetz. ad Il. I, 433). Sempre in Eustazio si trova anche la spiegazione opposta (e fondamentalmente corretta): ad Od. II, 425 προτόνους δὲ ἢ προτόνα οὐδετέρως κατὰ μεταπλασμὸν λέγει, σχοινία δι’ ὧν ὁ ἱστὸς ἀποδεσμεῖται ὡς ἂν ἔχῃ βεβαίως ἵστασθαι. οἱ δὲ παλαιοὶ, προτόνους φασὶ, κάλωας ἀπὸ τοῦ καρχησίου εἰς πρώραν καὶ πρύμναν διατείνοντας: “Dice protonoi, oppure protona, al neutro per metaplasmo. Si tratta delle funi tramite le quali l’albero viene tenuto legato, affinché stia diritto in modo stabile [cfr. sch. D Il. I, 434 Erbse]. Gli antichi chiamano protonoi i cavi tesi dalla testa d’albero verso prua e poppa”; ad. Od. XII, 409 : ὅρα ὅτι τε ἀρσενικῶς οἱ πρότονοι, ὡς καὶ Ὀππιανὸς δηλοῖ, πρότονος νηὸς εἰπὼν ὁμοίως τῷ ἐπίτονος, καὶ ὅτι οὐχ’ ἁπλῶς πρότονος ἅπαν σχοινίον, ἀλλὰ δύο τινὰ, περὶ ὧν καὶ προδεδήλωται. εἰ δὲ ῥαγέντων τῶν προτόνων ἱστὸς ὀπίσσω ἔπεσε, δῆλον ὅτι συνεκτικοὶ τοῦ ἱστοῦ οἱ πρότονοι; ad Od. XV, 290, dove si sottolinea l’impiego dei π per tenere in piedi l’albero quando esso viene rimesso in posizione.
Altro dibattito riscontrabile nelle fonti erudite è quello relativo all’immagine poetica della vela che si gonfia “sugli stralli” (vd. infra): sch. Eur. Hec. 114 Schwartz πρότονος τὸ σχοινίον, δι’ οὗ δεσμοῦσι τὸν ἱστόν […] οὐ γὰρ πᾶσα ἡ ναῦς ἐρείδεται τοῖς προτόνοις, ἀλλὰ μόνα τὰ λαίφη, δι’ ὧν αὐτὴ φέρεται ἀνέμου ἐπιπνέοντος; sch. Opp. Hal. I, 358 Bussemakers τὰ ἱστία ἐκ προτόνων τοῦ ἀνέμου ταῖς πνοαῖς ἁπλώσας. Vi sono infine il problematico sch. Opp. Hal. III, 287 B. ἀμφίδυμοι· διπλαῖ, διπλοῖ, δύο πρότονες (πρότονοι?), e sch. Ap. Rhod. I, 1201-5d che registra un uso traslato: οἱ δὲ †τόνοι† (αἱ δὲ ῥίζαι Wendel) προτόνων δίκην ἐπεῖχον τεταμένοι.
a) Usato sempre al plurale in Omero, come espressione prettamente tecnica a indicare gli “stralli”. Dato l’impiego al plurale, si suppone generalmente che gli stralli della nave omerica fossero due, legati a babordo e a tribordo della prua. In Il. I, 434 (= Hymn. Hom. in Ap. 504) i π sono utilizzati per adagiare l’albero, una volta staccato, sulla ➔ἱστοδόκη. Un distico formulare odissiaco attesta invece il loro impiego come sostegno di un albero messo in posizione per la navigazione: ἱστὸν δ’ εἰλάτινον κοίλης ἔντοσθε μεσόδμης / στῆσαν ἀείραντες, κατὰ δὲ προτόνοισιν ἔδησαν (“l’albero in legno di abete sollevarono e innalzarono dentro la trave cava, e lo legarono con gli stralli”, Od. II, 424-5 = XV, 289-90). In Od. XII, 409 lo spezzarsi dei π a causa di un turbine di vento provoca appunto la caduta dell’albero della nave di Odisseo. Eccetto che in quest’ultimo passo, in Omero e negli Inni Omerici π è compare sempre al dativo plurale. In Od. XII, 423 si parla di un ➔ἐπίτονος fatto di pelle, mentre nei poemi omerici mancano indicazioni esplicite sul materiale costitutivo dei π. Probabilmente, come il resto del cordame, il π era fatto di fibre vegetali (Casson 1971, 231). Una differenza nel materiale costitutivo rispetto all’➔ἐπίτονος spiegherebbe facilmente perché la nave omerica ha un solo paterazzo, ma due stralli.
In Alceo fr. 34, 10 V. Bowra legge, per via congetturale, προ̣[τόν’ ὀν]τρ̣[έχο]ντες, “correndo lungo gli stralli” (detto di una apparizione salvifica dei Dioscuri a un equipaggio in difficoltà). La forma di neutro plurale πρότονα è effettivamente attestata nei lessici (vd. supra). Ciononostante, il finale del verso di Alceo rimane “altogether doubtufl” (Page 1955, 266).
In età classica il termine è impiegato soltanto in poesia, e si trova anche al singolare. In Aesch. Ag. 897 tra le definizioni di Agamennone vi è σωτῆρα ναὸς πρότονον, “strallo che salva la nave”. Vi sono poi tre attestazioni euripidee: fr. 773 K., 42 σινδὼν δὲ πρότονον ἐπὶ μέσον πελάζει, “la vela si accosta nel mezzo allo strallo”; Hec. 111-2 τὰς ποντοπόρους δ’ ἔσχε σχεδίας / λαίφη προτόνοις ἐπερειδομένας, “controllava le imbarcazioni che solcano il mare mentre le loro vele premevano sugli stralli”; IT 1135-7 †ἀέρι δ’ ἱστία πρότονοι κατὰ πρῶιραν ὑ-/πὲρ στόλον ἐκπετάσουσιν πόδα† / ναὸς ὠκυπόμπου. Quest’ultimo passo è corrotto, per Cropp 2000, 242 “an intractable problem”. Rimane comunque chiaro che si tratta di “a conventional description of the ship’s sail (ἱστία) billowing out against the mast’s forestays (πρότονοι)”. Parker 2016 stampa invece un testo che considera sano, in cui una correzione suggerita da Platnauer accorda il senso alla stessa immagine descritta da Cropp: ἱστία δ’ ἐς προτόνους κατὰ πρῷραιν ὑ-/πὲρ στόλον ἐκπετάσουσι πόδες / ναὸς (“le scotte distenderanno la vela contro gli stralli, lungo la prua, oltre la punta della nave”). I passi euripidei, ad ogni modo, attestano un’immagine poetica convenzionale, la cui corretta interpretazione (normalmente accettata dai commentatori di Euripide) è quella offerta da Casson 1971, 277 e n. 26: l’idea che la vela si gonfi al vento, sporgendo talmente tanto da toccare gli stralli tesi di fronte ad essa. Non corretta dunque la spiegazione di LSJ s.v. πρότονοι, secondo cui il senso sarebbe invece che la vela è spiegata tramite i πρότονοι, intesi già in modo improprio come “drizze”.
Nei tragici pare quindi permanere la coscienza del senso tecnico di π (confermata peraltro dalle fonti epigrafiche e papirologiche, vd. infra), nonostante il termine appaia di registro elevato e cominci a legarsi a un repertorio di immagini prettamente poetico. Si noti anche l’alternanza fra plurale e singolare, che si potrebbe spiegare sia come semplice variazione poetica sia con una corrispondenza reale alle pratiche della marineria dell’epoca, cioè all’esistenza di stralli singoli oppure doppi, distinte da quella omerica dove gli stralli sono invariabilmente più d’uno.
Agli anni 341/0 a.C. sono databili due iscrizioni (inventari della seconda lega delio-attica) che attestano il termine al singolare (in un caso in modo sostanzialmente certo, nell’altro secondo un’integrazione comunque plausibile). Si tratta di ID 104.28, b12 πρ[ό]τ[ο]νος e ID 104.29, 17 [πρότο]ν̣ος.
Anche in epoca ellenistica il termine continua a trovarsi nella sola poesia. Apollonio Rodio è molto aderente al modello omerico e preciso dal punto di vista tecnico: Arg. I, 563-4 δή ῥα τότε μέγαν ἱστὸν ἐνεστήσαντο μεσόδμῃ, / δῆσαν δὲ προτόνοισι, τανυσσάμενοι ἑκάτερθεν (“allora innalzarono il grande albero sulla trave centrale, e lo legarono con gli stralli, tendendoli da entrambe le parti”). Sempre di ispirazione omerica appare la similutidine di Arg. I, 1203-4 in cui si descrive un albero divelto “dagli stralli” a causa di una tempesta (cfr. lo scolio ad loc. supra). In Posid. Epigr. 22, 4 Θρῆισσα κατὰ προτόνων ἡγεμονέοι γέρανος (“la gru tracia ci guidi passando lungo gli stralli”) si può forse scorgere un contatto con Alceo, qualora si accetti per quest’ultimo il testo di Bowra (vd. supra).
In Hal. V, 131-3 (cfr. Eutecn. Par. ad loc.) Oppiano dà delle informazioni, comunque piuttosto vaghe, sulla conformazione fisica di un π: τοῖσιν δ’ ὁρμιὴ μὲν ἐπασσυτέραις ἀραρυῖα / θωμίγγων ξυνοχῇσι πολυστρεφέεσσι τέτυκται, / ὅσσος τε πρότονος νηὸς πέλει: “Per queste bestie la lenza dev’essere fatta di corde ripiegate più volte, grande quanto lo strallo di una nave”. Nella stessa epoca π fa la sua comparsa anche in prosa: Luc. Iupp. Trag. 47, 10; Nav. 5, 7. Il termine è usato da Luciano solo al singolare. Nel secondo passo, la nave ammirata dai personaggi ha un solo, grandissimo strallo; si tratta tuttavia di un’imbarcazione esotica, notata per la sua straordinarietà. Esistono comunque raffigurazioni di età imperiale di navi reali munite di un solo strallo: cfr. Köster 1923 (167-8 e fig. 37).
Vi sono poi tre ricorrenze nell’Anth. Pal.: in V, 204, 4 si paragona un π guastato dall’usura ai capelli di una vecchia: πολιὸς δ’ ἐκλέλυται πρότονος, “il tuo strallo, ormai grigio, si è sciolto”. In App. 108, 2 κατὰ προτόνων ἱστίον ἐκπετάσας torna l’immagine poetica della vela rigonfia che preme sugli stralli. Interessanti anche le due attestazioni papiracee, tratte da resoconti di spese per delle imbarcazioni: P. Col. Zen. 100 e P. Cair. Zen. 59754. In entrambi i casi il termine appare al singolare.Tali papiri “reveal that the standard nautical term for forestay was still what it had been in Homer’s day– protonos” (Casson 1971, 261), almeno al III sec. a.C.
b) Forse già in età ellenistica, e sicuramente dall’età imperiale in poi (pur convivendo con attestazioni ancora in linea con un significato più tecnico, vd. supra), nei testi letterari π comincia a perdere un preciso significato tecnico e ad essere impiegato col senso generico di “fune” o con quello improprio di “drizza”, cioè la corda utilizzata per ammainare o spiegare le vele. Il primo caso di tale uso si trova probabilmente in Callim. Epigr. 5, 3-4, dove comunque tutto il linguaggio marinaresco è traslato, per descrivere un animale: ναυτίλος ὃς πελάγεσσιν ἐπέπλεον, εἰ μὲν ἀῆται, / τείνας οἰκείων λαῖφος ἀπὸ προτόνων (“io, un nautilo, che navigavo sui mari, se c’era vento, tendendo la vela per mezzo delle mie funi”). Il passo callimacheo sembra influenzato dalla descrizione che del nautilo fa Aristotele in fr. 335 Rose = 228 Gigon, secondo la quale tale mollusco “navigava” sull’acqua tendendo una membrana fra due tentacoli a mo’ di vela (cfr. D’Alessio 1996, 221 nota 10). Un uso improprio da parte di Callimaco potrebbe stridere con le testimonianze papiracee riferibili al III sec. a.C. (vd. supra) secondo cui a quell’epoca π era ancora usato in senso proprio. Ma potrebbe giocare un ruolo il linguaggio altamente figurato che Callimaco impiega.
Sicuramente improprio è l’uso di π in Opp. Hal. I, 348-9 τὰ μὲν πνοιῇσι πετάσσας / ἐκ προτόνων, “distese con le funi le parti della nave atte a prendere il vento”. Forse lo stesso vale per Hal. I, 227 καὶ τῆς μὲν λίνα πάντα περὶ προτόνοισι μέμυκε, “e tutte le vele della nave gemevano intorno alle funi”, a meno che un senso più esatto (“intorno agli stralli”) sia recuperato, forse più che per consapevolezza tecnica, con una ripresa dell’immagine della vela rigonfia. In AP. X, 23,1 il significato è generico.
In epoca più tarda il termine si ritrova ancora in prosa: Temistio 195 c fornisce un elenco di varie tipologie di cordame navale tra loro “distinte” (διακεκριμένοι), elenco tuttavia non completo e che pare più uno sfoggio retorico che non una rassegna sistematica delle manovre di una nave; in Teodoreto Or. 7, 676B τὰς προτόνους ἕλκοντας ha un significato del tutto generico (“tirando le funi”). Gregorio di Nazianzo (de se ipso 996) lo riferisce al contesto di una tempesta, che sembra attratto in poesia in associazione a π dal passo del naufragio odissiaco. π ha poi 4 attestazioni in Nonno: Dion. III, 28 σπερχομένῳ δ’ ἀνέμῳ πρότονοι μύκον presenta nuovamente l’associazione tra gli stralli e il rumore del vento, così come XLIV, 244 e XLV, 139, dove con variazione si dice che i π “sibilano”perché Dioniso li ha trasformati in serpenti. In XXXIX, 316 un dardo si conficca nel π di una nave. In Arg. Orf. 634-5 i π sono usati per ammainare le vele; simile il v. 1153 λύσατε δὲ προτόνων ὀθόνας “sciogliete le vele dalle drizze”. Al v.1293 torna l’immagine euripidea della vela gonfiata dal vento “lungo gli stralli”. Come per Oppiano, anche per le Argonautiche Orfiche sembra che il significato originario di π sia recuperabile solo attraverso riprese poetiche (in particolar modo dell’immagine della vela rigonfia), dunque probabilmente senza consapevolezza tecnica. π pare ormai divenuto un termine della poesia, più che della marineria.
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